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 2023  marzo 12 Domenica calendario

La triste Odissea del soldato Józef


Siamo ai primi di settembre 1941 a Grjazovec, Russia nord-occidentale. Sono passati meno di tre mesi da quando la Germania nazista ha attaccato l’Unione Sovietica. Nella cittadina ha luogo un curioso appello di soldati e ufficiali, vestiti di stracci, emaciati da anni di prigionia, fame, freddo e malattie e che in presenza di un generale claudicante, festeggiano la riconquistata libertà e sperano di poter tornare a combattere contro i tedeschi. I militari sono polacchi così come lo è il generale Wladyslaw Anders, pure lui appena rilasciato da un gulag. Tutti quanti finiranno la carriera da guerrieri in Italia, nella battaglia di Montecassino e poi partecipando alla liberazione di Bologna. La scena fa parte del libro di memorie di un personaggio straordinario per origini, capacità di scrittura e di riflessione. Si chiamava Józef Czapski e il testo, pubblicato da Adelphi, è intitolato La terra inumana (a cura di Andrea Ceccherelli, nella traduzione- ottima- del curatore e di Tullia Villanova). Diciamolo subito, la terra inumana, crudele quindi, non è la Russia ma è l’Urss, distinzione fondamentale che l’autore dà per scontata. Intanto. C’è in Europa una geografia della memoria che non necessariamente corrisponde alla geografia politica di oggi ma che è viva. E così il polacco Czapski era nato a Praga – oggi capitale della Repubblica ceca, allora città dell’Impero austro-ungherese, nel 1896. La madre era una contessa Thun-Hohenstein, il padre invece era figlio di un funzionario zarista e di una baronessa di una delle tante famiglie tedesche stabilitesi nell’Impero russo, in quelle che oggi sono le repubbliche baltiche. Czapski stesso era cresciuto in un villaggio in Bielorussia. Insomma, polacco lo è diventato perché così gli piaceva. Del resto gli studi, fra il liceo e l’Università, li ha fatti a San Pietroburgo. Adorava Tolstoj (e il pensiero del grande scrittore lo trasformò in pacifista) e amava la letteratura e la cultura russe. E a questo torneremo. Il contesto in cui nasce il racconto è ovviamente la Seconda guerra mondiale. Che però non in tutte le memorie è lo stesso conflitto. Nel settembre del 1939 la Polonia venne invasa da due Paesi: il 1 settembre dalla Germania, il 17 settembre dall’Unione sovietica. Le due potenze, nell’agosto dello stesso anno, conclusero un Patto di cui una delle clausole segrete era proprio la spartizione della Polonia, definita dal ministro degli Esteri di Mosca Molotov “il bastardo degli accordi di Versailles”. E così, sempre nella seconda metà di settembre 1939, quel che rimase dell’esercito di Varsavia in fuga verso est finì nei campi di prigionia di Stalin. Czapski cercò la salvezza dell’anima disegnando (si considerava, con una certa umiltà, non intellettuale ma pittore) e raccontando. La storia è questa: nel 1926, durante un soggiorno da uno zio a Londra, scoprì La Recherche di Proust. La lesse in francese, ne scrisse in polacco. Aver conosciuto e studiato bene quel capolavoro gli permise di farne una serie di conferenze, con citazioni a memoria, nella baracca del campo di Grjazovec, appunto (ne scrive nel libro Proust a Grjazovec,sempre Adelphi). Con la cultura forse non si mangia ma si dà senso alla vita. Come si diceva, quando Hitler tradisce il Patto, i sovietici rilasciano i loro prigionieri polacchi, Stalin permette la costituzione di un esercito sottoposto al governo in esilio a Londra e Czapski si arruola. È convinto che occorre collaborare con l’Armata Rossa. Il nemico da sconfiggere è a Berlino. Poi, ecco, ci si accorge che mancano all’appello circa 15mila ufficiali. Czapski è incaricato di rintracciarli, del resto non è nuovo a questo tipo di missioni. Già nel 1918 andò a San Pietroburgo a cercare commilitoni polacchi. Scoprì che erano morti fucilati. E tuttavia in questo libro sottolinea la lealtà di alcuni leader bolscevichi di allora. Contrappone quel comportamento a quello dei funzionari con cui ora ha a che fare. Nelle sue peregrinazioni arriva ai vertici della polizia politica, Nkvd. Intreccia una relazione, a Mosca, con Ilya Ehrenburg, scrittore celebre. Ma invano. I polacchi sono spariti nel nulla. Nel frattempo osserva, viaggiando sui treni, quanto il potere di Stalin, in apparenza granitico in realtà sia fragile. Raccoglie testimonianze degli ex prigionieri polacchi e quelle – nella loro crudezza fanno parte di una memoria da conservare, per comprendere di cosa è capace il potere quando diventa totalitario. Nominato capo dell’Ufficio propaganda dell’esercito ha occasione di conoscere altri scrittori russi, fra cui (a Tashkent) la poeta Anna Achmatova. Ecco, Czapski ama la letteratura russa. Non sopporta invece i nazionalisti di destra polacchi, non perdona il loro antisemitismo e altri crimini, e nell’entourage di Anders da questo punto di vista si sente a suo agio. Gli ufficiali mancanti, più altri cinquemila uomini, vennero trucidati dai sovietici a Katyn nel 1940. Lo si scopre nel 1943, con Anders e i suoi soldati ormai fuori dai confini dell’Urss. Stalin dà la colpa ai tedeschi, i polacchi protestano, Churchill e Roosevelt chiedono loro di tacere, l’Unione sovietica è un’alleata. Nella Polonia comunista tutti sanno ma è vietato parlarne in pubblico. Poi nel 1990 Gorbaciov ammette le colpe e chiede scusa al generale Jaruzelski, allora capo di Stato polacco, convertitosi alla democrazia. Czapski invece dopo la guerra assume il ruolo di testimone, ma prima di tutto torna pittore.