La Stampa, 12 marzo 2023
Laura Antonelli a 50 anni da Malizia
Forse la ferita infantile legata alla migrazione dalla città di Pola, dov’era nata, nel ’41 («Credo che non ci sia più grande dolore che lasciare la propria terra») per trasferirsi nei campi di profughi sparsi per l’Italia, prima che la famiglia si stabilisse a Napoli. Forse l’essersi trovata a vivere in un periodo controverso, da una parte proiettato verso le grandi sfide femministe, dall’altra ancora radicato a un maschilismo arcaico e grossolano. Perennemente in bilico tra spinte contrastanti, il carattere allegro, ma anche arrendevole, il fisico super-sexy ma anche materno, Laura Antonelli ha sempre comunicato l’idea di un impaccio, di qualcosa che mancava, di un vago disagio interiore, esploso nell’ultima fase di vita dopo essere stato covato per sempre, anche nei momenti più fulgidi, dei traguardi raggiunti e dei grandi amori.Il suo destino era legato a Malizia, il film di Salvatore Samperi uscito il 29 marzo del 1973, che fu, insieme, la sua consacrazione e la sua maledizione. Da quell’immagine, vestaglietta leggera con ampia scollatura, reggicalze in vista sulle gambe tornite, sguardi vogliosi di due generazioni, il padrone di casa Turi Ferro che, alla fine sposerà la cameriera procace, il figlio adolescente (Alessandro Momo) che dovrà a lei la sua iniziazione sessuale, Antonelli è stata, alla fine, divorata: «Di lei – dice Marco Risi nel documentario di Bernard Bedarida e Nello Correale Laura Antonelli la Diva malinconica – ci innamorammo tutti». L’altra faccia della medaglia è nella dichiarazione della giornalista Anna Maria Mori: «Sullo schermo Laura Antonelli ha rappresentato la nostalgia maschile di un paradiso perduto. Erano gli anni dello slogan “Io sono mia”, lei, invece, era, purtroppo, di tutti».Nel tessuto di Malizia, che all’epoca sbancò i botteghini e oggi è all’undicesimo posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre, oltre a vantare 50 milioni di visualizzazioni nella sua versione giapponese, Antonelli riuscì a trasmettere quel «senso di candido e infantile» che, secondo Dacia Maraini, era tra le sue caratteristiche più marcate, così come «il rapporto diretto, pacifico, sereno, con il proprio corpo» che, a detta della professoressa Donatella Schurzel (dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia), ha accomunato altre attrici come Alida Valli, anche lei nata a Pola, e Sylva Koscina, di origini jugoslave: «Hanno sempre manifestato disinvoltura nei confronti della propria fisicità». Un dono che registi di calibri diversi hanno usato alla loro maniera, Samperi cavalcando il filone erotico all’italiana, Visconti esaltando, nell’Innocente il valore mistico della sensualità, Scola cogliendo, in Passione d’amore, la vena dolce, affettuosa dell’attrice, molti altri limitandosi al gioco da buco della serratura del vestire e svestire forme procaci: «In un periodo di grandi conflitti – dice ancora Maraini, nel documentario disponibile su RaiPlay -, in cui le donne contavano ancora poco, il corpo di Laura creava voyeurismo, ma non era mai allusivo».Fuori dallo schermo Antonelli viveva i suoi rapporti importanti, in testa quello con Jean-Paul Belmondo durato 9 anni, pieni di aerei per Parigi presi al volo: «Appena era libera – ricorda Giancarlo Giannini – raggiungeva Belmondo in Francia, era una donna innamorata». Con Mario Marenco il matrimonio era sfumato e una volta, in un salotto tv di Raffaella Carrà, si vede, nel documentario, un’Antonelli che sbotta chiedendo «Perché non hai voluto sposarmi?».La parentesi senza nuvole coincide con la villa a Cerveteri, vicino Roma, dove l’attrice riceveva amici, cucinava, stabiliva rapporti con gli abitanti del paese che sognavano tutti «l’incontro magico» con la stella: «Era piacevole stare con lei – ricorda Marco Risi -, sembrava di passare il tempo con un contadino simpatico con cui si chiacchiera e si gioca a carte… solo che lei era bellissima, e in più aveva uno spirito semplice, affettuoso, ironico».Nel ’91, proprio tra quelle mura, si consumò il primo atto del tramonto Antonelli, con l’arresto plateale dovuto al possesso di 36 grammi di cocaina e il seguente breve periodo di detenzione. Proprio allora, nello stesso anno, il fantasma di Malizia fece di nuovo capolino, sotto le doppie spoglie di fortuna e maledizione. Samperi propose all’attrice il remake del cult, titolo Malizia 2mila, obiettivo rispolverare un mito erotico appanato. La caduta profonda, quella senza ritorno, partì da lì, dopo il film, che naturalmente non ebbe i risultati economici del primo (il direttore della fotografia Paolo Carnera ricorda ancora le pressioni subite sul set per far apparire la protagonista a tutti i costi più giovane) Antonelli si sottopose a trattamenti estetici che ebbero effetti devastanti.Dopo la disperazione arriva il conforto nella fede, «un delirio mistico – rievoca Risi – in cui Laura chiamava Dio “papino"» e poi la semi-clausura tra le pareti di un piccolo appartamento a Ladispoli: «La fama, i soldi non sono serviti a nulla – commenta Daniela Poggi – nella sua fragilità c’è la grande solitudine del nostro lavoro». In quell’ultima fase si era fatta strada l’amicizia con Simone Cristicchi che le ha dedicato il brano Cara Laura: «Le dicevo “hai fatto come una santa, ti sei spogliata di tutto, ora sei tornata all’essenza, sei una Laura come tante e questa è la vera ricchezza conquistata"». Qualcuno, tardivamente, si è forse sentito in colpa: «È stato un peccato – dice un anziano Belmondo – Laura meritava di meglio, molto di meglio di questo»