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 2023  marzo 12 Domenica calendario

Il dibattito sull’eutanasia della piccola Francia

«Al Presidente della Repubblica Macron dobbiamo dare un documento chiaro, con frasi brevi, non interpretabili. Loro decideranno, ma noi non dobbiamo lasciar spazio a equivoci». «Deve essere incisivo». «Serve una premessa di carattere generale, poco tecnica, che spieghi l’animo e lo spirito con cui abbiamo lavorato». «Servono soluzioni per tutti». «Ma cosa intendete per casi particolari?». L’eutanasia per i minori per esempio, o per depressione». «No emozioni, solo fatti e nodi legislativi da sciogliere». «Propongo di stilare anche un documento a latere di quello ufficiale con le posizioni della minoranza». Venerdì 3 marzo i lavori della Convention citoyenne sur la fin de vie (Convenzione dei cittadini sul fine vita) in Francia cominciano alle 14 e vanno avanti ad oltranza fino a domenica sera. Da adesso li chiameremo CCFV. È la sigla con cui firmano i verbali, le relazioni, i comunicati stampa. Non sono politici eletti, tantomeno di professione. Non hanno mai svolto ruoli analoghi. Non sono lobbisti. Tra loro c’è chi vota ma anche chi non lo fa più da tempo. Chi è di sinistra chi no. Chi crede in Dio, chi è ateo. Ma soprattutto non sono stati scelti, sono qui per caso: sono stati estratti a sorte. È andata così. Sono stati sorteggiati inizialmente 10 mila francesi tra i numeri di telefono generati in modo casuale (85% cellulari e 15% telefoni fissi). Sei i criteri di reclutamento: sesso, età, tipo di area urbana, regione di provenienza, livello di istruzione e categoria socio-professionale. Da 10 mila – escludendo le rinunce e quelli che non hanno mai risposto – sono arrivati a 3 mila e dopo un ulteriore campionamento ecco i 185 membri finali della CCFV. «Non è un campione statistico però – specifica l’ufficio stampa – per esserlo avremmo dovuto sorteggiare 1000 persone». Quindi come lo definite? «Un gruppo rappresentativo della diversità della società francese». La piccola Francia, come la chiamano giornali e opinionisti, deve rispondere a una domanda precisa: la legge sul fine vita francese è adatta ad ogni situazione oppure é necessario prevedere delle modifiche? Se sì, quali? Per trovare le risposte dal 9 dicembre i 185 “citoyenne” estratti a sorte si sono riuniti ogni week end. Hanno incontrato esperti, studiato documenti, ascoltato pazienti. Ci sono cittadini con livello di istruzione minimo e anche «quattro estratti in rappresentanza della comunità che non ha un domicilio fisso, per trovarli ci siamo rivolti ad un’associazione che lavora specificamente sulla precarietà abitativa». Giovanna Marsico fa parte del Comitato direttivo che ha gestito la governance dei lavori della CCFV, dirige – inoltre – il centro nazionale francese sul fine vita e sulle cure palliative ed è il suo ente ad aver fornito i documenti scientifici su cui si è costruita la formazione dei cittadini sorteggiati.
L’esperimento della Convenzione dei cittadini sul fine vita è stato annunciato lo scorso settembre dal Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron. Incalzato dalle associazioni che chiedevano una riforma urgente sulla materia, ha deciso di interrogare la popolazione. L’obiettivo è quello di avere una nuova legge sul fine vita entro il 2023. Il Capo dello Stato non ha escluso l’organizzazione di un referendum. Ma sono in molti a scommettere che Macron abbia solo voluto prendere tempo, incapace, senza una maggioranza schiacciante, di fare da solo questa riforma. Scotta, inoltre, ancora la precedente consultazione popolare: la “convenzione sul clima” composta sempre da cittadini estratti a sorte. Le loro proposte sono state rispettate solo in piccola parte. Ecco perché questa volta le regole di ingaggio sono cambiate: «Sin dal principio è stato specificato ai cittadini della CCFV – risponde Marsico – che quanto stabiliranno nel loro documento finale non sarà automaticamente la proposta di legge che arriverà in Parlamento ma un contributo alla costruzione della decisione».
Nel nostro viaggio a Parigi per vederli all’opera noi comunque ci concentriamo sul metodo più che sul merito. Davvero dei cittadini sorteggiati secondo regole specifiche, possono ottenere risultati più concreti dei professionisti della politica? C’è da dire che quello francese non è il primo esperimento simile. Le esperienze di “democrazia aleatoria” si susseguono da oltre venti anni in tutto il mondo, soprattutto in Europa. Alla base di tutto c’è un dato inconfutabile: la crisi delle democrazie rappresentative è un fenomeno globale. Per molti studiosi sono le elezioni (così come ormai vengono realizzate) il vero punto debole: non rappresentano la popolazione, cancellano i temi scomodi ai partiti e favoriscono il prevalere di gruppi di potere rispetto all’interesse generale. In Italia in principio fu Beppe Grillo a parlarne. Scatenò reazioni ironiche e paure antisistema. Poi è toccato ad Enrico Letta che da docente di Sciences-Po (L’Institut d’Études politiques de Paris) e attento conoscitore degli esperimenti in atto disse: la democrazia rappresentativa è in difficoltà, perchè non provare ad affiancarle forme nuove di partecipazione e deliberazione basate sulla sorte? Sono passati anni sia dalla prima che dalla seconda dichiarazione, così come dalla presa di posizione dell’Economist che invitò i politici a non aver paura e a «prendere sul serio le Assemblee di cittadini, perché possono risolvere problemi che i professionisti della politica hanno paura di affrontare», ma nulla è cambiato. Il tema in Italia è sempre tabù, nonostante gli elettori continuino a diminuire elezione dopo elezione. Ma laddove la sperimentazione di questi modelli è stata fatta, cosa ha prodotto? In Irlanda, grazie al lavoro di un’Assemblea di cento cittadini (mescolati a politici eletti) è stata varata la riforma sui matrimoni gay e la legalizzazione dell’aborto (fino ad allora reato).
In Belgio invece la comunità germanofona ha istituito assemblee permanenti di cittadini sorteggiati, in carica per un anno e mezzo, con il compito di stabilire i temi urgenti e prioritari sui quali svolgere consultazioni e deliberazioni del Parlamento. Insomma quello francese sull’eutanasia è solo l’ultimo esperimento in atto. A Parigi siamo agli incontri finali. Ci si riunisce nella sede del Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE). La giornata tipo funziona così. Si inizia con un caffè tutti insieme per salutarsi e ritrovarsi dopo la pausa settimanale e poi subito al lavoro in seduta plenaria, nell’emiciclo del Palazzo della Iena. I cittadini si prenotano alzando la mano per intervenire. Per votare hanno 15 secondi scanditi dalle lancette rosse di un grande orologio affisso in sala. Si vota più volte nel corso della giornata. E soprattutto si vota ogni piccolo segmento che andrà a comporre il documento finale. I risultati, sempre anonimi, vengono proiettati sui grandi schermi. I punti più controversi diventano oggetto di discussione e confronto nei piccoli gruppi. L’obiettivo sostanzialmente è sciogliere i nodi, limare le frasi, trovare le parole giuste per raggiungere il consenso più ampio possibile.
Chi di loro non vuole parlare con la stampa indossa un laccetto rosso, tutti gli altri sono avvicinabili a patto di rispettare alcune semplici regole. Non si riprende il loro voto e nemmeno i dibattiti nei piccoli gruppi.
C’è chi viene dalle Antille, dal Guadalupa, dall’Isola della Réunion. Oggi è in programma l’ultima audizione di esperti: una geriatra, una psicologa e un pediatra infantile oncologico. «Dottore lei sarebbe pronto a dare il nulla osta all’eutanasia di un suo piccolo paziente malato terminale?». «La sua domanda è brutale – risponde il pediatra – quanto necessaria. Non la eviterò. Ma purtroppo la mia risposta forse non le piacerà: non lo so ancora».
Dieter ha 52 anni viene dalla Normandia. «Ho ricevuto una telefonata ad ottobre scorso, da una compagnia telefonica. Ero tra i fortunati sorteggiati, ho detto subito di sì. Non conoscevo bene lo strumento ma ne avevo sentito parlare e mi interessava l’argomento. Quando ho iniziato non avevo un’opinione precisa. Non ero schierato né per il sì nè per il no. E nemmeno oggi ho maturato una posizione granitica e definitiva su tutto. Ci sono alcuni aspetti che mi vedono favorevole ad una riforma della legge attuale, altri no». Per esempio? «Il tema dei minori». Dieter è direttore di un collegio privato, ha a che fare con giovani adolescenti ogni giorno. Etienne ha 28 anni, è corista in una chiesa cattolica di Lione. «Io voto da sempre, ma questo è il miglior modo possibile per far partecipare la popolazione e prendere davvero decisioni difficili». Nel corso dei tre giorni che saremo lì, Etienne cambierà spesso opinione, non sul metodo, di cui è sostenitore convinto, ma nel merito. Ogni volta ci cerca per integrare la sua intervista precedente. Mathieu ed Eric spiegano ancora meglio perchè non è facile avere una posizione definita e chiara su tutto: nel fine vita non c’è solo l’eutanasia, il suicidio assistito, ma anche le questioni sulle cure palliative, il testamento biologico, la classificazione delle patologie terminali, il libero arbritio. Chi decide per lui se il malato non è nel possesso delle sue capacità? Chi somministra la dose letale: l’infermiere o il medico? Quindi secondo voi la legge sul fine vita francese deve essere cambiata si o no? «Si, ma a precise condizioni». Usano il sorteggio anche per individuare chi deve parlare in conferenza stampa. «Propongo di estrarre a sorte inoltre un cittadino che rappresenta la posizione di minoranza». Immaginate uno scenario simile, in un Parlamento, il nostro per esempio, dove l’opposizione dice alla maggioranza, o viceversa, parla tu tanto saprai fare le mie veci.
Come è avvenuta la formazione dei sorteggiati? «A tutti è stato consegnato un libro di 100 pagine con le fonti scientifiche – risponde Marsico – e 12 storie tipo che fanno da bussola, delle infografiche con le nozioni essenziali, un glossario, una bibliografia, anche cinematografica e il quadro legislativo di riferimento». La figura del facilitatore è essenziale. Guida le riunioni, tiene i tempi, facilita la stesura dei verbali, non ha mai un ruolo da opinionista, non vota e non esprime pareri, ma è evidente che senza di loro la macchina non camminerebbe in maniera così efficiente. Come avete scelto i profili professionali da audire? «La convocazione delle diverse figure è stata decisa sulla base della richiesta dei sorteggiati – risponde sempre Giovanna Marsico – Il comitato di sorveglianza ha scritto poi a tutti gli ordini professionali competenti e alle strutture sanitarie». Cioè l’Assemblea dei cittadini ha deciso per esempio: vogliamo incontrare geriatri, psicologi, pediatri, infermieri, rappresentanti dei caregiver, associazioni pro vita, quelle pro eutanasia, le confederazioni religiose, le associazione cure palliative e di volta in volta dal CESE partiva l’invito verso le categorie di riferimento. «Tutti i contrari all’ eutanasia sono stati tra i primi ad essere ascoltati – lo scriva per favore. – I rappresentanti di tutti i culti religiosi sono stati in audizione per volere specifico dei cittadini sorteggiati».
Monique ha 65 anni, ha una malattia degenerativa incurabile, la sclerosi multipla. L’ha scoperto nel 2000. «I miei figli sanno che devono fare quando non potrò più muovermi, se in Francia non sarà possibile devono portarmi in Belgio». Era di questa idea anche prima di venire qui? «Sì, ma ora ne sono ancora più convinta. Sono favorevole sia al suicidio assistito che all’eutanasia anche se sono due cose molto differenti». Alexandra è una psicologa, questa per lei è un’occasione per studiare il metodo e fare ricerca sul suicidio. «Ero e resto contraria sia al suicidio assistito sia all’eutanasia, ma ho accettato perchè volevo mettermi in discussione». Marie ha 25 anni. «Tra i miei amici alcuni pensano che queste Assemblee siano solo un modo per tenere buona la popolazione e prendere tempo». Lilli ha 22 anni. «No, i miei no. Sono tutti curiosi di quello che faccio qui da nove settimane. Mi fanno molte domande, ne parliamo spesso». Arriva la ministra Agnes Firmin Le Bodo, Delegata presso il Ministro della Salute e della Prevenzione all’Organizzazione del Territorio e alle Professioni Sanitarie. «È in atto una grande riflessione collettiva» dice. Ma non avete paura che questo esperimento dimostri che i cittadini sono migliori di voi? «Quando fai politica hai la responsabilità personale e pubblica di fare le cose. E quando fai le cose accontenterai qualcuno e qualcun altro no. I politici devono decidere, i cittadini fanno delle proposte, è più facile». Ma infatti il problema è quando non decidono!
Ogni cittadino estratto a sorte percepisce un’indennità giornaliera di 94,56 euro lordi. Coloro che perdono reddito non lavorando il sabato hanno anche diritto a un’indennità aggiuntiva pari a 11,07 euro lordi per ogni ora lavorativa persa. A tutti infine il CESE paga le spese di trasporto, alloggio e vitto durante le sessioni «così come eventuali spese per la custodia dei bambini». Civiltà! Ci sono quattro garanti internazionali: un belga, uno svizzero, un’americana, e una italiana, Agnese Bertello di Ascolto attivo, specializzata sulla gestione Creativa dei conflitti, della Facilitazione e Progettazione partecipata. E anche 25 osservatori, sempre estratti a sorte tra chi ha fatto richiesta: studenti, ricercatori, medici, interessati al funzionamento del metodo.
Per ora l’orientamento che si sta delineando nei vari voti tra i sorteggiati è favorevole ad una riforma sostanziale della legge attuale sul fine vita, con aperture a specifiche condizioni a eutaniasia e suicidio assistito. Il documento finale sarà pronto e presentato alla Prima Ministra Élisabeth Borne e ai ministri incaricati di seguire il dibattito nazionale sul fine vita, Olivier Véran e Agnès Firmin Le Bodo, il 2 aprile. A quel punto la parola passerà al Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron. Intanto viva la democrazia. —
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