il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2023
Ritratto di Elly Schlein
Elly Schlein ha la risata sonante degli americani. Il puntiglio silenzioso degli svizzeri. La gestualità italiana. Parla veloce, parla nervosa. Ma quando esulta lo fa plateale, come le pallavoliste, innalzando le braccia al cielo e con le dita spalancate. Viene da lontanissimo, nonni ucraini e lituani in viaggio dentro al disordine novecentesco del mondo, anche se è stata assemblata molto vicino a noi, sulle rive sonnolente del Lago di Lugano. Dove si spera abbia assorbito il massimo della pace interiore, ora che le toccherà governare il più ingovernabile dei partiti, nove segretari andati in malora in sedici anni, tutti triturati delle correnti e dal potere, tutti usciti con i nervi a pezzi, come il penultimo, Nicola Zingaretti, che se ne andò strillando “Mi vergogno del mio partito!”. E solo l’ultimo senza troppi clamori, l’Enrico Letta, ma solo perché la politologia di fuffa parigina, gli ha suggerito un unico lentissimo sospiro di sollievo e un misterioso melograno d’addio.
Elly ha un fotovoltaico incorporato. Alla maniera di Giorgia, sebbene piazzato nell’emisfero filosofico opposto. Ha svegliato con una scossa il pd dal suo lungo sonno della ragione. Un milione e passa di eroici votanti l’hanno innalzata fino al patibolo più ambito, il Nazareno, condannandola a cercare il nuovo Graal della sinistra, che lei, amante dei più moderni dialetti generazionali, chiama intersezionalità.
Intersezionalità è un non maschile e un non femminile che aleggia instabile tra i generi e le identità sociali. È il punto nello spazio dove, di volta in volta, si incrociano le istanze dell’anima, anzi del cuore che siano ecologiste, progressiste e femministe. Ma è anche il punto dove differenti discriminazioni sociali e diseguaglianze si intrecciano e si aggravano. “Di più: le discriminazioni discendono da sistemi oppressivi che pure si combinano tra loro e si legittimano reciprocamente”.
Alla nuova politica della buona sinistra – che è multipla, anzi molteplice con attitudine al pulviscolare – il compito di identificarle, radiografarle, trovare i rimedi al modello di sviluppo che (invece) le alimenta. A lei il compito di diventare il ponte tra le diverse piazze. Il ponte come lo intendeva Alex Langer, il più impolitico tra i politici di professione, suo massimo ispiratore, che viaggiava leggero tra tutte le minoranze del pianeta comprese quelle dei profughi e dei migranti. Anche se lei lo asseconda e lo applica con un sovrappiù di realismo, visto che “le piazze da sole non bastano”, alle piazze bisogna aggiungere “i luoghi dove si decidono le cose”. Nel suo caso, prendendosi il partito sulle spalle. Verso il potere, quando sarà. Oppure verso il suo contrario, la dissoluzione definitiva, bye bye pd, come già prefigurano gli eterni brontoloni alla Cacciari, e certe componenti di antico conio democristiano, tipo l’esule Fioroni. Ma Fioroni chi?
Elena Ethel Schlein, detta Elly, nasce a Lugano nella bambagia delle élite, anno 1985. Il padre Melvin è americano, ebreo ashkenazita, insegna Scienze politiche alla John Hopkins University. La madre, Maria Paolo Viviani, è docente alla Facoltà di Legge a Milano. È figlia di Agostino Viviani, senatore socialista, padre di tante battaglie per i diritti civili, uno dei molti galantuomini che se ne andranno dal partito negli anni prepotenti di Craxi re.
Elly cresce insofferente all’acquario svizzero. Suona la chitarra elettrica. Frequenta i pochi eccentrici in circolazione. È fluida, veloce e anche spigolosa. Dopo il diploma, a 18 anni, soffocata dall’ordine, si infila nel disordine del Dams di Bologna, dove mastica la prima politica, le prime occupazioni: “Ho imparato a volantinare in piazza senza sentirmi una sfigata”. Lascia il Dams, vira a Giurisprudenza. Si laurea in Legge. A 22 anni, affascinata dal carisma di Barack Obama, parte con il suo passaporto americano in tasca, per Chicago, volontaria nella campagna presidenziale che “univa fasce sociali differenti tra loro”, i ceti medi e i diseredati, le casalinghe e gli studenti ribelli, i veterani neri e i pensionati bianchi. La molteplicità dei diversi è il suo imprinting. Al quale aggiunge il suo personale coming out, “amo uomini e donne”, sono intera nelle differenze. Di più: “Sono la somma di storie diverse e incompiute”.
Quando torna nella Bologna “che culla i suoi figli adottivi”, diventa militante a tempo pieno nel nuovo partito democratico, post Ulivo, parola d’ordine “I care”, mi prendo cura. Ma risulterà vero il contrario, visto quanto i famosi 101 anonimi si prenderanno cura di Romano Prodi, candidato al Quirinale, per affondarlo. Furiosamente Elly si indigna. Cavalca con gli insorti di “Occupy Pd”. Critica il governo Letta che nasce dentro l’ombra del nemico di sempre, Silvio B. Si incanta persino davanti alle smargiassate fiorentine dell’astro nascente Matteo Renzi. Crede anche a lui, il tempo di candidarsi alle Europee, anno 2014, venire eletta con 54 mila preferenze (“Un miracolo!”) per poi accorgersi che anche Renzi si prende cura, ma solo di stesso: guadagna all’estero e agli italiani che lavorano regala l’abolizione dell’articolo 18, nuovi accordi con Silvio B., e un po’ di precariato in più.
Elly si sveglia di soprassalto e si dimette dal pd. A Bruxelles lavora sui dossier migranti. Incalza Matteo Salvini che chiama “il fuggitivo”, dalla velocità con cui scappa dai suoi doveri di europarlamentare prima, e di ministro dell’Interno poi. Nel 2020 si candida alle regionali, parla di salario minimo, diritti civili, transizione ecologica, sintonia programmatica con i Cinque stelle. Naviga le piazze con le nascenti Sardine, fino alla foce, vicepresidente della Regione Emilia Romagna, un passo alla sinistra di Stefano Bonaccini, compagno di strada e rivale. Nemico e alleato. Specialmente ora che dopo averlo battuto alle primarie per il partito, lo ha scelto suo scenografico presidente, nonostante i Ray-Ban a goccia. Durerà? Dureranno?
La Destra senza testa, perde la testa e rosica: è troppo ricca; è troppo radical chic; ha tre passaporti; è sessualmente immorale; addirittura parla tre lingue, la principessina! Per Elly è un buon inizio. Per noi, vale l’intersezione tra una speranza e un vedremo.