il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2023
Il falso suicidio dell’anarchico Bresci
Negli articoli dedicati di recente alle polemiche sul recupero dell’ex ergastolo dell’isola di Santo Stefano (Ventotene), nessuno ovviamente ha ricordato Gaetano Bresci tra i detenuti politici che, fin dai tempi del Risorgimento, furono segregati in quell’inferno. Dell’anarchico pratese che uccise il re Umberto I a Monza il 29 luglio del 1900, lo storico Gaetano Salvemini nel 1947 scrisse: “Gaetano Bresci compì un atto individuale su Umberto I e non un atto di terrore. (…) Umberto I, negli ultimi anni del suo regno, si era messo a fare il tiranno nel significato classico della parola”. Era il re che aveva decorato il generale Bava Beccaris per la feroce repressione dei moti popolari di Milano per il pane, quelli del maggio 1898.
Bresci venne assassinato dai carcerieri di Santo Stefano il 22 maggio del 1901, probabilmente su ordine delle autorità di governo di Roma, però la sua morte fu fatta passare e archiviata per sempre come un suicidio. Lo denunciò dopo la Liberazione, davanti all’Assemblea Costituente, il futuro capo dello Stato Sandro Pertini, che in quelle isole era stato confinato durante il fascismo. Lo affermò senza mezzi termini il 17 febbraio del 1947: “Non è vero che si sia suicidato: prima l’hanno ammazzato di botte e poi hanno attaccato il cadavere all’inferriata ed hanno diffuso in tutta Italia la notizia di questo suicidio”. A riportare le parole di Pertini è Giuseppe Galzerano nel suo corposo libro Vita, attentato, processo, carcere e morte dell’anarchico che “giustiziò” Umberto I, uscito in prima edizione nel 1988 e ristampato nel 2001.
Già nel 1901, tuttavia, l’anarchico Mario Lazzoni, nobiluomo di Carrara, come segnalò la legazione d’Italia di Buenos Aires, aveva fatto apparire in suo dramma, andato in scena a Montevideo, “una cella in cui il Bresci, il Martire, viene strangolato da due guardie carcerarie, per ordine superiore come esse dicono”.
A rintracciare negli anni Sessanta ciò che restava nell’ex ergastolo della memoria di Bresci, è stato lo scrittore ed enogastronomo Luigi Veronelli. Scrisse più tardi: “Quando entrammo nel minimo cimitero, infoibato tra le rocce (ti voltavi ed era un paradiso: il mare e, un po’ decentrata, l’Isola di Ventotene). Una frase all’ingresso: ‘Qui finisce la giustizia degli uomini. Qui comincia la giustizia di Dio’, minime croci di ferro arrugginito e dei cartigli ai piedi. Là, proprio là, il cartiglio di Gaetano Bresci. Piangevo, va da sé”. Sul cartiglio c’era solo il nome con la data di morte: “Gaetano Bresci 22 maggio 1901”.
Sulla morte di Bresci, come su tanti altri sanguinosi misteri d’Italia, a livello ufficiale, ossia da parte delle istituzioni, non è mai stata fatta luce. La sua memoria poi è caduta sostanzialmente nell’oblio, pur con qualche doverosa eccezione. La città di Prato nel 1976 gli dedicò una via. E nel cimitero di Carrara, piccola patria degli anarchici, c’è un monumento, opera dello scultore Carlo Sergio Signori, che lo immortala. Nel novembre del 2013 le associazioni della Resistenza dell’Anpi e della Fiap, sezioni di Carrara, deposero dei fiori e una corona d’allora al monumento al regicida, che, come dissero, “sacrificò la sua vita per quegli stessi ideali anarchici e di liberazione”.