Il Messaggero, 12 marzo 2023
Biografia di Francesco Morosini
Siete a Venezia. Vi aggirate fra calli, porteghi, ponti, vagando nei sestieri della città? Entrate nella Basilica di San Marco e nelle sale di Palazzo Ducale, ma non vedete niente, non capite niente, non sapete niente. È come se la città più bella del mondo restasse muta davanti a voi, impenetrabile e remota come la sua storia millenaria divenuta incomprensibile ai più. Se fate parte anche dei milioni di turisti o semplici avventori contemporanei che si sentono frustrati dal rebus della magnificenza di Venezia, procuratevi questo libro. Troverete la soluzione che nemmeno sapevate di cercare e come d’incanto la Serenissima uscirà dal suo torpore per diventare accessibile nella sua storia palpitante.LEGGENDARIOÈ il miracolo di un volume scritto a più mani, nato dal Comitato per le celebrazioni del quarto centenario della nascita di Francesco Morosini (1619-1694) che della Serenissima fu non solo l’ultimo eroe, ma il doge leggendario e prima ancora il procuratore di San Marco, e per quattro volte in trentasette anni il Capitano generale da Mar, e soprattutto fu un condottiero fiero e visionario, uno stratega audace, un politico spietato, perennemente invogliato nei territori di conquista. Visse in un’epoca ancora gloriosa per la Serenissima, come il secolo di ferro, quando l’aristocrazia o l’oligarchia veneziana, riottose a corti e dinastia, in virtù dello stato misto che per gli antichi significava la perfezione, visto che il potere era affidato a magistrature collegiali, l’autorità suprema era elettiva, e le cariche pubbliche non duravano più di due anni, dominava sul lago salato del Mediterraneo, come il baluardo dell’Occidente contro le mire dell’impero ottomano che nel 1683 si spinsero addirittura fino a Vienna.ERETICILa Serenissima era una repubblica commerciale, che stampava i libri proibiti nel resto d’Europa, tolleravano gli eretici banditi dal resto d’Europa, e estendeva i suoi confini sulla Dalmazia, sulle isole dell’Egeo, sulla Morea, e cioè il Peloponneso, su Creta e persino sul Dodecaneso, con le armi della conquista e del commercio, dovendosi guardare sia dalle monarchie nazionali, come la Spagna e la Francia che ne pativano la concorrenza, sia dal papato che ne pativa l’ingerenza. Eppure, nonostante il principio della disincarnazione, il doge Morosini, detto il Peloponnesiaco, fu l’unico nella storia della Repubblica a farsi effigiare mentre era ancora in vita dal Senato riconoscente, in un monumento di bronzo posto all’interno dell’armeria del Consiglio dei Dieci a Palazzo Ducale.LO SGUARDOEra dotato di ego esondante e di spietata freddezza, che trovarono il loro corrispettivo oggettivo nel mento aguzzo, lo sguardo impenetrabile, i lineamenti volpini, e nel tremendo cannoneggiamento che nel 1688 distrusse il Partenone. Ebbe vita famigliare complicata, e altamente sconosciuta, visto non si usava, all’epoca, fornire troppi dettagli privati, tant’è che del Peloponnesiaco si sa solo che visse un’infanzia sconvolta dalla morte della madre, annegata forse per salvare il marito caduto in acqua, o forse da quest’ultimo soppressa per convolare a più profittevoli nozze. Arruolatosi a vent’anni nella flotta guidata dal cugino ammiraglio Badoer, non si sposò, non ebbe figli, pare che amasse solo la sua gatta e le sue galezze e i suoi fanti, che sapeva accendere fino allo spasimo. Dopo la resa di Candia, la capitale di Creta, che subì un assedio di ventitré anni da parte dei turchi, fu persino accusato di appropriazione indebita e fu perciò processato, ma alla fine venne assolto e riabilitato.I DISPACCIAnche in questo la Serenessima era esemplare, nel riammettere agli onori chi aveva assolto gli obblighi della giustizia. Di lui restano, oltre i fatti d’arme che costellano la storia del Mediterraneo, seimila dispacci conservati all’archivio di stato di Venezia e restaurati dai mecenati del Venetian Heritage come le 23 tele delle 48 che raccontano le sue vittorie, e il monumento nella chiesa di Santo Stefano che lo ricorda agli immemori.