La Stampa, 12 marzo 2023
La riforma delle pensioni di Macron
Ai francesi basta nominare la riforma delle pensioni (beninteso, in senso restrittivo, dato che di riforme “generose” si è persa, anche in Francia, la memoria) perché scendano in piazza. È, da sempre, un riflesso condizionato dei nostri cugini d’Oltralpe.Hanno ragione a protestare, come anche ieri hanno fatto riempiendo le strade di Parigi e bloccando la città? Anzitutto, una riforma del sistema previdenziale si giustifica – in generale e al di fuori di una situazione finanziaria emergenziale dalla quale la Francia è ben lontana, diversamente dall’Italia del 2011) – per far fronte a tre grandi rischi. Il primo è il peggioramento del quadro demografico che riduce il numero delle persone in età di lavoro che contribuiscono al sistema previdenziale, rispetto al numero dei pensionati, che ricevono pensioni finanziate da quei contributi (o da imposte/nuovo debito, quando i contributi non bastano). Il secondo è un contesto economico caratterizzato da occupazione e salari relativamente bassi o, peggio, decrescenti, ciò che implica un flusso di contributi insufficiente a corrispondere pensioni adeguate a un numero crescente di pensionati. Il terzo è un’"architettura pensionistica” frammentata, caratterizzata da squilibri finanziari, iniquità tra le generazioni e un groviglio di regole che spesso riflettono vicinanza al potere politico (che scrive le norme), e dunque privilegi, invece che sostegno alle categorie meno fortunate.Sotto nessuna di queste tre prospettive la Francia si trova in situazione di vera urgenza.Ha una demografia ancora sostenibile pur se in peggioramento (peraltro ben minore di quello italiano), oltre che per l’invecchiamento a causa della riduzione del tasso di fecondità; un mercato del lavoro relativamente efficiente se confrontato con quello di altri Paesi europei (il tasso di occupazione supera quello italiano di dieci punti percentuali e i salari sono sensibilmente più alti). Sempre rispetto all’Italia, sono inferiori la disoccupazione, il lavoro precario e quello sommerso. E inoltre le trattenute pensionistiche sono percentualmente più basse e non compromettono la competitività internazionale dei prodotti francesi.Le regole pensionistiche, a loro volta, hanno già subito varie modifiche da governi passati, nella direzione di una maggiore corrispondenza, a livello individuale, tra il totale dei contributi versati nel corso della vita lavorativa e quello delle pensioni percepite nel pensionamento; e perciò di un maggiore equilibrio finanziario del sistema. Le regole francesi non sono perciò troppo diverse da quella “contribuzione definita” degli italiani e di altri Paesi europei che rappresenta un pilastro di sostenibilità finanziaria. È stato inoltre mantenuto un certo grado di solidarietà nei confronti dei lavoratori che svolgono attività usuranti o con problemi di salute, di disoccupazione, nonché di assistenza e cure dei famigliari.Le riforme passate non bastano però a garantire il futuro. Anche la Francia, infatti, invecchia e anche la sua economia pare meno in grado di offrire posti di lavoro con la stabilità, la progressione di carriera e la remunerazione del passato, tali da permettere un’accumulazione di risparmi previdenziali sufficiente a garantire sicurezza finanziaria nel periodo post-lavorativo. Per questo il Presidente Macron, fin dal suo primo mandato, si è posto la “riforma delle pensioni” come obiettivo, pur conoscendo la forte resistenza, culturale prima ancora che economica, dei suoi concittadini. Dopo averla rinviata e poi sospesa a causa del Covid, il Presidente ha ora presentato al Parlamento un “semplice” riaggiustamento dei parametri del sistema per fare fronte ai cambiamenti che potranno verosimilmente destabilizzarlo in futuro. La riforma alza l’età di pensionamento da 62 a 64 anni entro il 2027; stabilisce in 43 anni di contribuzione il periodo per avere a pensione piena, senza penalizzazioni; prevede l’eliminazione dei regimi speciali, un po’ anacronistici e in qualche caso fonte di privilegi. Tutte misure che, peraltro, il Parlamento sta “addolcendo” di fronte alle proteste.La riforma di Macron non ha contenuti “rivoluzionari” nel disegno, come ci si poteva aspettare da un Presidente che non manca mai, nei suoi discorsi, di fare riferimento alle grandi sfide del futuro, che cambieranno verosimilmente il modo di funzionare delle nostre economie e delle nostre società. La riforma, in particolare, non è collegata a una revisione complessiva e coraggiosa del sistema di welfare, che in Francia funziona sicuramente meglio che da noi – soprattutto per quanto concerne il grado di tutela della famiglia – ma che non è stato comunque in grado di impedire anche in quel Paese una polarizzazione della distribuzione dei redditi e, più ancora, della ricchezza; la precarizzazione del lavoro, soprattutto dei giovani; l’aumento dell’area di povertà, il restringimento della classe media.Non vi è un grande disegno ma neppure una riforma così severa da meritare che si blocchi un Paese. Sembra perciò un antico gioco delle parti (a un Presidente di stampo liberale la sinistra “deve” rispondere con la mobilitazione generale), senza che alcuna abbia però in mente un chiaro disegno per il futuro e una risposta alle tante domande che, soprattutto le giovani generazioni, si pongono, in Francia, come in tutta Europa.