Robinson, 11 marzo 2023
Rileggere Dario Bellezza
Poeta precoce, amato da Pasolini e Moravia. Con una capacità unica di far coesistere realtà quotidiana e spinta al sublime Firmò anche testi di narrativa, sostenuta da grandi consensi«Ecco il miglior poeta della nuova generazione». Con queste parole perentorie, nel 1971, Pier Paolo Pasolini presentava Dario Bellezza al suo esordio, avvenuto conInvettive e licenze, un’opera che, classifiche a parte, resta uno dei capitoli più interessanti e originali della nostra poesia negli ultimi decenni del secolo scorso. Dario Bellezza, essendo nato nel settembre 1944, era dunque un poeta precoce, ed era lontano da quel clima, allora dominante, della sperimentazione e in particolare dell’avanguardia, che si era venuta definendo e codificando pubblicamente con la creazione del Gruppo 63 e la pubblicazione dell’antologia I novissimi. I maggiori riferimenti di Bellezza, nella poesia di chi lo aveva immediatamente preceduto, erano semmai autori come Sandro Penna e lo stesso Pier Paolo Pasolini. Nei versi del giovanissimo autore si poteva, in ogni caso, respirare un’aria di sostanziale lontananza e indifferenza rispetto ai termini, appunto, della ricerca sperimentale, non senza quello che poteva apparire come un tratto elegantemente anacronistico. In contrasto, allora, con certi ambienti letterari, mentre oggi la forza libera del soggetto narrante-lirico, dell’io, circolante nei suoi versi, ci arriva come un indice di naturalezza del sentire, espressa nei termini di una esemplare grazia, di forte impatto comunicativo, nella presenza di una soffertadimensione personale vissuta intensamente. E con la piena consapevolezza di un poeta che scriveva, per esempio: «Il mare di soggettività sto perlustrando / immemore di ogni altra dimensione». In effetti un carattere specifico nell’opera di Dario Bellezza, fin da subito, era anche nella capacità di far coesistere realtà quotidiana e spinta al sublime, non senza qualche strappo anche volutamente sopra le righe. Il senso e la sofferenza della diversità segnano il suo percorso, che nel secondo libro di versi,Morte segreta, tende maggiormente a una pronuncia in direzione del tragico, non senza, peraltro, abbassamenti e correzioni in chiave ironica o autoironica. E ancora, dunque, nella capacità di mescolare arrotondamento enfatico e deviazione in senso opposto, frutto tra l’altro di un’acutezza intellettuale sempre presente. Nel suo esprimere un senso di personale sconforto o rispecchiamento nell’immagine di un sé dannato, si insinuano una cupa venatura e un autentico presagio di morte, come si vede anche nei suoi libri successivi, fino a Serpenta, dell’87, dove afferma con desolazione che «il quotidiano insiste» e dove il soggetto lirico si definisce «gioioso, immondo testimone di un giorno / di pioggia». Un lamento poetico di stampo volutamente e quasi provocatoriamente tradizionale, risiedendo proprio in questa fedeltà, o recupero, della tradizione, uno dei suoi più netti e continui caratteri distintivi di fondo. La sua opera, importante capitolo della nostra poesia di Novecento, si può ripercorrere per intero in un volume degli Oscar Mondadori curato da Roberto Deidier, appunto Tutte le poesie. Dario Bellezza, nel corso di una non lunga vita, aveva ampliato i suoi percorsi scrivendo e pubblicando anche testi di narrativa, spesso vicini al suo lavoro di poeta. Una narrativa avallata a sua volta da importanti consensi, come presentazioni o postfazioni dello stesso Pasolini e di Alberto Moravia. Ricordiamo libri come Lettere da Sodoma (1972), Angelo(1979),Turbamento (1984), L’amore felice (1986), dove la vicenda autobiografica si intreccia con l’invenzione del racconto. Tra l’altro la prima uscita di Bellezza con un libro era proprio avvenuta in un’opera narrativa,L’innocenza (1970), prefata appunto da Moravia. Un romanzo che già nel titolo è indicativo di una linea perseguita poi in coerenza necessaria dall’autore, e cioè quella di una ricerca tra innocenza e perdita della sua mitica purezza. Seguirono poi altre opere narrative sempre bene accolte dalla critica, presenti in premi importanti, anche se la sua fisionomia maggiore resta quella della poesia, nella quale continuerà ad agire l’io (il titolo di un libro è proprio Io),protagonista e figura che Bellezza accetta nei suoi testi con assoluta naturalezza. Nell’insieme, questo autore ci offre l’esempio di una controllata tensione- ambizione verso una dimensione lirica medio-alta, attraverso una scrittura legata ai temi, pur variegatie liberamente introdotti, dell’amore e della città, di un vissuto autentico, ma anche sofferto o desolato, nel costante insinuarsi del pensiero della perdita di sé e della morte. E il dolore dell’esistere si manifesta nei suoi libri con sempre maggiore evidenza, fino all’ultima raccolta di versi, Proclama sul fascino, apparso nel ’96, pochi giorni dopo la morte. La malattia, purtroppo, venne a interromperne esistenza e lavoro letterario troppo presto, nel marzo 1996, e Bellezza non aveva ancora 52 anni. Chi l’ha conosciuto, e io ne sono stato molto amico, ha potuto incontrare un personaggio dal tratto semplice ed elegante, un uomo dotato di una forte apertura di pensiero e di evidente e calma onestà intellettuale. Elementi del carattere che ne attraversano anche l’opera alla quale, a partire naturalmente dalla poesia, è bene oggi tornare. Ripensando dunque anche al personaggio, alla figura umana che spiccava per la nobile e raffinata semplicità del proprio porsi, per l’assenza di spinte competitive, nel segno di una necessità della scrittura che sempre lo aveva accompagnato, ricordo che una volta, mentre visitavamo una mostra di antichi pittori di valore ma non primissime figure, mi disse circa: «Ecco, potessimo anche noi restare nel tempo come questi minori…». Ed era la modestia di un talento in poesia che fortunatamente continua a parlarci.