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 2023  marzo 11 Sabato calendario

Intersvista a Emmanuel Carrère


Anche se i piccoli delinquenti di banlieue trasformati in terroristi hanno poco in comune con il male ancestrale di Stavrogin, Emmanuel Carrère continua a frequentare i nuovi Demoni. Sempre a modo suo, sempre seguendo il precetto di Spinoza: non deridere, non compiangere, non condannare, comprendere soltanto. Almeno, provarci. L’avevamo lasciato con uno dei suoi romanzi più intimi, Yoga, nel quale raccontava il proprio ricovero in un ospedale psichiatrico, la sua lotta con il male interiore. InV13, i lettori ritroveranno in una nuova veste le cronache del maxi-processo degli attentati parigini apparse anche suRobinson, che diventano spunto per un’indagine più ampia sulla resilienza del bene, e il mistero assoluto della cattiveria umana. «Sono sempre per ascoltare il punto di vista dell’Avversario» dice Carrère a proposito dei jihadisti ma anche di Valdimir Putin al quale si sta dedicando attraverso una nuova sceneggiatura. Qualche mese fa è andato in Georgia, visitando per la prima volta il paese del nonno materno, immigrato georgiano scomparso nel 1944 a Bordeaux, probabilmente ucciso per aver collaborato con i tedeschi. La Russia rimane una «ossessione», confida lo scrittore francese in una brasserie del terzo arrondissement, non lontano da un vasto appartamento inerpicato fra i tetti di Parigi, nel quale conserva una locandina del Dottor Zivagoaccanto alla foto seppiata dei suoi antenati russi. Dopo “Yoga” ha scelto un racconto collettivo, molto lontano da chi la vede come uno scrittore dell’Io, affetto da un ego “ingombrante e dispotico”, secondo la sua definizione.«SuV13 non è proprio un rimprovero che mi si può fare. Sono presente ma unicamente come narratore, fatto salvo qualche commento resto sempre un passo indietro. Quando ho cominciato a seguire il processo non avevo neppure in mente di farne un libro. C’era solo un retropensiero che si è concretizzato negli ultimi due mesi. Continuavano le cronache settimanali e intanto rilavoravo i materiali già pubblicati per trasformarli in un libro. E alla fine, dopo Yoga, non mi dispiace ritrovarmi qui più defilato». In quella “scatola”, come ha definito l’aula bunker dove ha vissuto quasi un anno, si è creata una sorta di fratellanza?«È il dono che mi ha regalato questa esperienza.Normalmente in un processo le emozioni vengono dagli imputati, ma in questo caso erano poco interessanti. Onestamente, li ho già dimenticati mentre ho ancora legami con questa piccola comunità che si è creata tra avvocati, giornalisti, parti civili, soprattutto vittime. Con alcuni ho mantenuto legami. Mi vedo ancora regolarmente con Nadia Mondeguer e Georges Salines che hanno perso i figli trentenni negli attentati. Per ragioni anagrafiche, è più facile identificarmi con loro». È stata una traversata nell’orrore, ma non solo, come testimonia l’ultima sera passata a bere e abbracciarsi nella brasserie Les Deux Palais, subito dopo il verdetto.«Capisco che possa scioccare un’adunata in cui qualcuno fa i selfie con dei tipi che apparivano come imputati nel processo. È bene ricordare che non erano quelli con le accuse più gravi sennò non sarebbero stati a piede libero, anche perché i magistrati non sono stati indulgenti nella sentenza. In quella serata finale abbiamo vissuto sentimenti contraddittori, l’esultanza si confondeva con la malinconia di un legame che stava per svanire». Come scrittore è stato anche il momento in cui ha detto addio ai suoi personaggi.«È stato straziante. Ogni sera, quando tornavo dal processo, la mia compagna mi chiedeva di raccontare, ma non ci riuscivo. Non solo perché ero molto stanco. In quella scatola succedeva qualcosa di incomunicabile. Lo scopo del libro è stato proprio quello di rendere fruibile un’esperienza durata quasi un anno, accentuando questo senso di coesione e continuità». Perché afferma che questo processo l’ha aiutata anche ad avvicinarsi al mistero del Bene?«Abbiamo ascoltato testimonianze di coraggio e altruismo sia nell’affrontare gli attentati che il lutto. Il mio amico Georges Salines crede profondamente nella cosiddetta giustizia riparativa. Ha chiesto di poter visitare in carcere Abdeslam. E non lo fa come i militanti cattolici che raccontavo ne L’Avversario, nei quali c’è qualcosa di contorto. Salines è perfettamente lucido. È convinto che in ogni uomo ci sia una parte di umanità che lui vuole andare a cercare».