la Repubblica, 11 marzo 2023
Intervista a Vicent Cassel
Vincent Cassel è cittadino del mondo. Nei suoi 56 anni ha vissuto in diversi Paesi. Figlio dell’attore Jean-Pierre Cassel e della giornalista Sabine Litique, l’infanzia a Parigi, dopo il divorzio dei genitori si trasferisce negli Stati Uniti. A New York il giovane Vincent fa incontri straordinari, impara la fotografia, frequenta scuole di recitazione. Poi comincia a fare avanti e indietro con Parigi per la scuola di circo di Annie Fratellini e le lezioni all’Actors Institute di New York fino all’incontro con Mathieu Kassovitz e la rivelazione nel film culto L’odio. Dopo la fine del matrimonio con Monica Bellucci, è in Brasile che l’attore ha messo radici. Ha sposato la modella Tina Kunakey, con cui ha avuto una figlia, Amazzonie, nome scelto per l’impegno contro lo sfruttamento della foresta a fianco del capo indigeno Raoni Metuktire. Ora è protagonista della serie Liaison con Eva Green su Apple tv+, thriller che intreccia spionaggio internazionale con un’appassionata storia d’amore. Ci parla da Parigi.
Per questo ruolo si è ispirato a 007 o a altri film di spionaggio?
«Non mi ispiro mai alla finzione ma sempre alla realtà. Il mio personaggio è l’antitesi dello 007: vulnerabile, solo, un cane bastonato. Ho incontrato persone che fanno questo mestiere, mercenari che hanno lavorato per la Dgse (servizio informazioni all’estero della Francia, ndr), l’Mi2 inglese, per il Mossad e per l’Arabia saudita, persino per il Vaticano.
Lavorano per chi paga meglio, per questo mestiere bisogna avere una fiducia immensa in se stessi. Spesso questi mercenari vengono abbandonati dai datori di lavoro quando le cose non vanno per il verso giusto, è molto cinico. Se si va a indagare i veri interessi che muovono il mondo si ha un quadro molto cupo della realtà».
Aveva quattordici anni quando si è trasferito negli Stati Uniti.
«Ero affascinato da New York, per me era i film di Martin Scorsese, Broadway, l’inizio dell’hip hop, i Velvet Underground, Andy Warhol, Basquiat. Ho avuto la fortuna di arrivare in quel momento, ero giovanissimo e ho avuto la sensazione di mettere un piede dentro al mio sogno. Facevo lezioni all’Actors Studio, seguivo Strasberg, vedevo i film di Spike Lee, ogni tanto incrociavo Andy Warhol o Robert Mapplethorpe in qualche locale. Lavorare lì in quel momento mi ha dato la sensazione di essere in presa diretta con la mia fantasia. Invece Hollywood non mi ha mai interessato molto. Con il tempo, tutto quello che era New York per me è diventato il Brasile».
Il suo legame con il nostro Paese è forte: il matrimonio con Monica Bellucci, le sue figlie nate a Roma, ha girato con Matteo Garrone “Il racconto dei racconti”. Ci sono altri progetti italiani nel suo futuro?
«Vorrei ancora fare film con autori italiani. Sorrentino è uno dei più grandi registi viventi, ho amato La grande bellezza eYouth, il film su Berlusconi, Loro, che ha avuto recensioni negative e in Francia non è andato bene al botteghino, ma per me è un film potente. Il più grande regista di tutti i tempi è Fellini, i film che mi hanno più influenzato sono italiani o di registi italoamericani. L’Italia è un grande Paese di cinema e, anche se i grandi film non sono più numerosi come un tempo, quando c’è un film italiano che si fa notare tutto d’un colpo ci ricorda chi sono i padroni del cinema».