la Repubblica, 11 marzo 2023
Xi presidente per la terza volta
Ordine del giorno: approvazione delle riforme del Consiglio di Stato, elezione del presidente della Repubblica, del suo vice e del capo dell’Assemblea Nazionale. La voce che risuona dagli altoparlanti snocciolando le procedure accompagna i gesti lenti e sincronizzati dei quasi 3mila delegati che sfogliano come un sol uomo i fogli bianchi ordinati, creando una soporifera melodia. Alle 9 e 40 del mattino la stampa viene gentilmente invitata a lasciare l’aula. Nella Grande Sala del Popolo su Piazza Tiananmen i commessi hanno appena distribuito altri fogli, rossi, per il voto più atteso tra quelli in calendario. Otto minuti più tardi possiamo rientrare. Ma dovremo stare un’altra ora in religioso silenzio a osservare i mandarini sfilare per andare a depositare le schede nella grande urna al centro della sala prima di potere conoscere un verdetto sul quale non c’è alcuna suspense. Più che un voto, un gesto politico inequivocabile di deferenza e cieca fedeltà. Favorevoli 2.952, zero astenuti e zero contrari, come da pronostico e come 5 anni fa: Xi Jinping completa la sua ascesa a leader più potente dai tempi di Mao e diventa per la terza volta consecutiva presidente della Repubblica popolare. Tutti in piedi, applausi lunghissimi. Con lo stesso risultato viene eletto anche al vertice della Commissione militare centrale, capo dell’esercito più grande al mondo. La carica di presidente è cerimoniale: il potere se lo era già assicurato a ottobre al Congresso quando – anche qui per la terza volta di fila – si era preso la poltrona di segretario generale del Partito. Mano sinistra sulla Costituzione e pugno destro chiuso alzato a mezz’aria, il nuovo Timoniere inizia a tutti gli effetti il suo terzo mandato alla guida della Cina, cementando attorno a sé un potere mai visto: per i prossimi cinque anni, e forse più. Non c’è nessun delfino in vista che possa succedergli. E non c’è più nessun limite ai mandati come Capo dello Stato: fu lui ad abolirli nel 2018. «Giuro la mia fedeltà alla Costituzione, di essere leale al popolo, di lavorare duramente per un grande Paese socialista moderno che sia prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato, armonioso e bello», scandisce il leader. È rilassato Xi, parla di continuo, gesticola con i vicini di posto: il futuro premier Li Qiang, suo fedelissimo che oggi giurerà come nuovo premier, e Wang Huning, il suo ideologo, il “cardinale Richelieu” che sussurra alle orecchie dell’imperatore. Assieme a Xi, all’unanimità dei votanti, viene eletto anche il suo vice, Han Zheng: 68 anni, troppo vecchio per sperare di poter prendere le redini del Paese un domani. A guidare l’organo legislativo sarà invece Zhao Leji, altro fedelissimo che lo ha aiutato a fare piazza pulita di funzionari corrotti, o presunti tali. I pochi giornalisti ammessi nel tempio del potere comunista hanno dovuto mettersi in quarantena dalla sera prima, alla faccia della “vittoria” sul Covid. Partiamo alle 6.50 verso Tiananmen, presidiata ancor più del solito. La banda dell’esercito fa le prove sulla balconata con la Marcia dei volontari mentre i primi delegati già alle 8 iniziano ad entrare: due grandi display tengono il conto dei presenti. Quaranta minuti dopo suona la campanella: tutti dentro. Alle 9, puntualissimo, entra Xi, preceduto dal suo nuovo Politburo di uomini a lui più che leali, si accomoda al centro della scena con le ormai consuete due tazze di tè sul tavolo: tutti gli altri ne hanno soltanto una, ma lui non è “tutti gli altri”. Prima dell’elezione del leader ci sono le riforme del governo da approvare: la nuova commissione che dovrà supervisionare un sistema finanziario da 60mila miliardi di dollari, l’agenzia per la gestione dei dati e la ristrutturazione del Ministero della Scienza e della Tecnologia per arrivare a quell’autosufficienza, in risposta alle restrizioni americane e occidentali, vero mantra del segretario. Un solo voto contrario. Dopo quasi due ore e mezza di messa laica, si può andare in pace. Si ripercorrono i lunghi tappeti rossi che adornano le immense sale bianche, sulle scalinate all’uscita i delegati arrivati da ogni angolo della Cina non si fanno mancare un selfie: i più allegri sono i rappresentanti delle minoranze etniche nei loro costumi tradizionali. Il nuovo mandato sottolinea il suo totale monopolio del potere: eliminata ogni opposizione al suo programma iper-nazionalistico di trasformare la Cina nella principale sfida autoritaria all’ordine mondiale a guida occidentale. In serata arrivano le congratulazioni di Putin. «Ma sarà un periodo molto difficile il suo», dice a Repubblica Alfred Wu, professore all’Università di Singapore. «Dovrà rilanciare l’economia dopo tre anni di chiusure Covid e strette che hanno messo in ginocchio l’immobiliare e il tech. Deve affrontare una situazione geopolitica tesa. Ha una società che invecchia rapidamente e che sta già ponendo gravi problemi al welfare. Xi evoca di continuo l’immagine di una Cina come una nave che viaggia in un mare in tempesta. Solo lui, nella sua visione, è in grado di tenerne il timone e ripararne le falle. Oggi ci sta dicendo che vuole un quarto, e forse anche un quinto, mandato».