Corriere della Sera, 11 marzo 2023
Ritratto di Michelle Yeoh
Non è mai troppo tardi. Se c’è qualcuno che incarna alla perfezione la massima del maestro Manzi è Michelle Yeoh, arrivata dopo 40 anni di carriera a raccogliere critiche, elogi e premi che, orgogliosa sessantenne (compiuti nell’agosto scorso) è a un passo dalla vittoria del suo primo Oscar grazie al ruolo di Evelyn Wang nel caso cinematografico dell’anno, Everything Everywhere All at Once dei registi Daniel Scheinert e Daniel Kawn, pronti a fare cappotto anche agli Academy Awards il 12 marzo dove sono in lizza in undici categorie (tra cui miglior film e miglior regia), dopo aver guadagnato già 254 (fonte Wikipedia) riconoscimenti in questa stagione dei premi. Una donna di mezza età, immigrata cinese, trasportata dalla lavanderia di famiglia in un multiverso dove una sua alter ego, a sua volta multiforme, si trova a dover difendere il mondo dalle mire della perfida Jamie Lee Curtis e la versione crudele della figlia Joy, Jobu Tupaki: «Un ruolo così folle era impossibile da rifiutare. I miei 40 anni di carriera sono stati quasi la prova migliore per questo ruolo. Le madri sono le vere supereroine – ha spiegato in una delle innumerevoli interviste, ormai più ricercata tra le star di Hollywood —. Portano il peso del mondo sulle spalle ogni giorno. Tante donne lo fanno. Vanno avanti senza sosta, ma nessuno dà loro il mantello del supereroe».
Lei lo è diventata per la sua comunità. È la prima attrice asiatica a ottenere una candidatura alla statuetta, se la gioca con la favoritissima Cate Blanchett (con già due statuette in tasca) di Tár, Michelle Wiliams mamma di Spielberg in The Fabelmans, la Marilyn di Ana de Armas (Blonde) e Andrea Riseborough (To Leslie).
Yeoh è certa che sia il suo turno: ha rilanciato con un post su Instagram un articolo di Vogue che auspicava la sua vittoria ricordando che in un secolo di storia solo una donna non bianca (Halle Berry) ha conquistato l’Oscar come migliore attrice, mentre un’altra statuetta non cambierebbe più di tanto la carriera di Blanchett. Post subito cancellato per evitare polemiche e anche richiami da parte dell’Academy per violazione delle regole che non permettono commenti su altri candidati. Le prove dell’eventuale discorso di accettazione Yeoh le ha già fatte per i premi già conquistati, come lo Screen Actors Guild Award, dove ha parlato in nome della comunità asiatica: «Non è solo per me, ma per ogni ragazzina che mi somiglia. Grazie per avermi invitato al tavolo, ne abbiamo bisogno, vogliamo essere visti, essere ascoltati».
Veramente, non sognava di fare l’attrice ma la ballerina. Nata a Ipoh in Malesia nell’agosto 1962, in una famiglia cinese, Michelle Yeoh Choo Khe, ha iniziato a studiare danza a 4 anni, e quando si sono trasferiti in Gran Bretagna è riuscita a entrare alla Royal Academy di Londra. Una caduta interrompe quel sogno e riparte dal via, ventenne, vincitrice del concorso d Miss Malesya. La prima apparizione sullo schermo è al fianco di Jackie Chan – per cui i Daniels avevano inizialmente pensato il ruolo poi riscritto al femminile per Michelle – in uno spot per un orologio dove non proferisce parola ma conquista con lo sguardo quello che diventerà uno dei suoi partner nei film di arti marziali di Hong Kong che l’hanno resa famosa con il nome d’arte Michelle Kahn. In cui mise a frutto le sue capacità coreografiche e fece la stunt di se stessa, tra le poche attrici trattate alla pari dei colleghi, anche con ruoli da protagonista. Dopo un brutto incidente sul set di Magnificent Warriors decide di ritirarsi. Sposa l’imprenditore di Hong Kong Dickson Poon. Lo stop dura quanto il matrimonio, tre anni e mezzo.
Il sogno
Il mio ruolo ha conquistato il pubblico perché è imprevedibile
Ora sogno un musical
All’orizzonte l’aspetta 007. È accanto a Pierce Brosnan ne Il domani non muore mai. È la produttrice Barbara Broccoli a convincerla a recuperare il suo nome. Che non ha più lasciato. Tra i suoi estimatori Ang Lee che la volle per La tigre e il dragone e ora fa il tifo per lei. «È stato uno di quelli che non sopportava idea che mi considerassero una attrice controfigura. È solo un bonus in più che sappia anche fare la stunt».
Si è data una spiegazione del successo, inaspettato e straordinario, del film dei Daniels. «Credo che abbia toccato il pubblico proprio perché è caotica. La vita è un caos. Imprevedibile».
Prevedibile, invece, l’interesse cresciuto intorno a lei. Molta carne al fuoco: titoli come The School for Good and Evil per Netflix, la serie American Born Chinese per Disney +, il prossimo Transformer e il nuovo adattamento da Agatha Christie di Kenneth Branagh, A Haunting in Venice. Il suo sogno, Oscar a parte, è girare un musical. «Non l’ho mai fatto. Vorrei stupire il pubblico».