Corriere della Sera, 11 marzo 2023
La Silicon Valley Bank fa crac
Le autorità Usa chiudono la Silicon Valley Bank, la banca delle startup tecnologiche che per due giorni ha fatto tremare le Borse mondiali, con la caduta dei titoli bancari. Il California Department of Financial protection and Innovation ha messo la Svb sotto il controllo della Federal Deposit Insurance Corporation, l’agenzia federale che assicura i depositi fino a 250 mila dollari. È il più grande fallimento di una banca dalla crisi finanziaria e, con circa 209 miliardi di dollari di asset (e 175,4 miliardi di depositi), il secondo nella storia del sistema bancario degli Stati Uniti.
A far capire la gravità della situazione sono state anche le parole della segretaria del Tesoro Usa, Janet Yellen, durante un’audizione al Congresso. «Ci sono sviluppi recenti che riguardano alcune banche che sto monitorando molto attentamente e quando le banche subiscono perdite finanziarie è e dovrebbe essere motivo di preoccupazione», ha detto l’economista che prima del Tesoro ha guidato per 4 anni la Federal Reserve.
Fondata nel 1983 da Bill Biggerstaff e Robert Medearis durante una partita di poker, Svb è la sedicesima banca degli Sati Uniti e opera anche in Europa, in Asia e in Israele, offrendo una serie di servizi finanziari all’ecosistema delle start-up, dalla semplice tenuta del conto bancario alla consulenza per la raccolta di fondi. Sul suo sito web, Sbv si vanta di lavorare con circa il 50% delle aziende tecnologiche, sanitarie e biotecnologiche sostenute dai fondi di venture capital statunitensi, tra cui le piattaforme Pinterest e Shopify.
I problemi di Svb, che meno di 18 mesi fa valeva 44 miliardi, sono esplosi mercoledì. Per rafforzare il capitale in seguito alle perdite causate dalla crisi del settore tecnologico, la banca ha annunciato un aumento di capitale da 2,25 miliardi, che non è stato gradito dagli investitori. Anzi, i partner di importanti società di venture capital, tra cui anche il Founders Fund di Peter Thiel, avrebbero contattato le società in portafoglio, invitandole alla cautela o addirittura a ritirare il loro denaro dalla banca. Così è partita la corsa ai depositi.
Il punto è che dopo oltre un decennio di costo del denaro a zero, il brusco rialzo dei tassi di interesse ha lasciato le banche cariche di obbligazioni a basso tasso di interesse, che non possono essere vendute in fretta senza subire perdite, perché quando sale il rendimento scende il prezzo del titolo. Secondo le autorità di controllo le banche statunitensi hanno perdite non realizzate di oltre 620 miliardi di dollari sui titoli in portafoglio. Ma il rischio per ora resta sulla carta. Però, se troppi clienti attingono ai loro depositi in una volta sola, si rischia il tonfo. È successo a Svb che, davanti alla pressanti richieste di contante da parte dei clienti tecnologici in difficoltà, si è trovata costretta a vendere 21 miliardi di dollari di bond in portafoglio (per lo più Titoli di Stato Usa) per ottenere liquidità, con una perdita di 1,8 miliardi di dollari.
Anche la grande crisi finanziaria globale del 2007-2008, è cominciata da una banca. Prima fu Bear Stearns, collassata nel marzo 2008 e venduta a Jp Morgan Chase. Poi nel settembre dello stesso anno, Lehman Brother, che invece la Fed decise di non salvare. Questa volta è diverso, rassicurano gli analisti: la forte esposizione di Svb all’industria hi-tech dovrebbe evitare il contagio del settore bancario. Inoltre le principali banche hanno capitale sufficiente per evitare una situazione simile. Però il crollo in Borsa del 60,4% di Svb sul Nasdaq giovedì e il -68% segnato prima dell’apertura di ieri, quando il titolo è rimasto sospeso, ha accentuato il nervosismo che già agitava i mercati per la chiusura di Silvergate, un altro istituto di credito californiano incentrato sulle criptovalute. I titoli bancari sono caduti in tutto il mondo, mandando in rosso i listini, da Wall Street (il Dow Jones ha perso l’1,07% e il Nasdaq l’1,75%) a Milano (-1,55%).