La Stampa, 11 marzo 2023
L’evoluzione sociale di De Amicis
Più che un libro sul De Amicis socialista, come viene promesso dal titolo Avanti! quello di Giorgio Caponetti appare un affresco della Torino di fine Ottocento, tanto che leggendolo, dagli incontri dello scrittore di Cuore a quelli contemporanei dell’autore che introducono ogni capitolo, sembra di vivere un Midnight in Paris di Woody Allen. Solo che in questo caso invece di Fitzgerald, Hemingway e Joséphine Baker, il giovane Edmondo, che deve il suo nome al Conte di Montecristo, incontra al Caffè Fiorio di Torino il barone Ricasoli, Graf, Giacosa, Lombroso e Nietzsche. Lo stesso gli capita a Firenze e dovunque vada nei suoi lunghi viaggi all’estero.Ma è Torino la piccola Parigi nel cuore del libro. Si trova nel ritratto dettagliato di Porta Palazzo e del Balon, nel canto del vino come forza positiva o negativa e nella passione per le montagne circostanti e i loro personaggi.E Torino è la capitale del Risorgimento, realizzatosi nel 1861 con la nascita del nuovo Regno d’Italia. Di quegli ideali pedagogici si nutre il libro Cuore (1886). Nel 1887 però De Amicis incontra, sempre da Fiorio, Filippo Turati con Anna Kuliscioff. Il leader del socialismo italiano vuol far capire al governo che non deve avere paura. I socialisti non sono degli anarchici o degli anticapitalisti. Vogliono solo una politica di riforme che limitino le diseguaglianze, si direbbe oggi. Un messaggio a cui De Amicis non è affatto sordo e che sviluppa ne Il romanzo di un maestro (1890), la storia dei trasferimenti di Emilio Ratti e della meschinità del mondo che lo circonda.Non è più l’«Edmondo dei languori», come lo definì Carducci. Non è più il mondo mieloso di Cuore. «Non c’è più il buon Garrone; sono tutti Franti», sintetizza Caponetti.La scuola non è più lodata dai genitori, ma è detestata perché sottrae braccia per portare qualche soldo in famiglia. Le maestre hanno una femminilità a volte sfacciata e provocatoria che suscita turbamenti. Una scuola che è l’espressione di un mondo brutto, di un’Italia che ha perso l’entusiasmo negli ideali di unità e non ne vede altri nell’orizzonte del suo futuro.È un De Amicis profondamente cambiato quello de Il romanzo di un maestro. Anche nello stile di scrittura, molto più sobrio. Un De Amicis che a 45 anni, nel 1891, aderisce convintamente al Partito operaio italiano, che allora esprimeva un solo parlamentare. Una decisione audace per uno degli scrittori più amati dalla borghesia e che si ripercuote nelle opere successive in cui presta molta attenzione alle condizioni delle fasce sociali più povere, superando le idee nazionalistiche che avevano animato Cuore.Non tutti ovviamente apprezzano la svolta socialista, rinfacciandogli lavori giovanili come La vita militare o accusandolo di una montatura per creare curiosità sul suo travagliato libro Primo maggio. In una lettera ad Emilia Peruzzi, la dama che lo ha ospitato a Firenze per anni, spiega: «Io ho una doppia biblioteca in casa: metà socialista, metà contraria a queste idee. Non ho mai letto un libro favorevole senza fargli seguire la lettura d’un libro opposto. Avrei potuto accettare leggermente una dottrina ardita vent’anni fa, ma non mi sarebbe più possibile ora che ho i capelli bianchi»