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 2023  marzo 11 Sabato calendario

Acqua potabile dal mare. La tecnologia di Israele

Una battaglia cominciata 75 anni fa. Quella dell’acqua per Israele è stata fin dalla fondazione dello Stato una questione vitale. E non poteva essere altrimenti in un paese il cui territorio è per il 60 per cento desertico. Perciò i padri fondatori, a partire da Ben Gurion, hanno investito grandi energie e sostenuto ogni tipo di ricerca con l’obbiettivo di rendere verde quella terra in cui il colore prevalente era da sempre quello dell’argilla e l’unica acqua disponibile era quella salata. Gli studi in questo campo non si sono mai fermati, dai laboratori sul campo, nell’università del Negev, fino alle start up che cercano soluzioni per affrontare il problema della sempre minore disponibilità di acqua a fronte dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale. Tecnologie ormai consolidate che ora Israele - come ha chiarito il premier Benjamin Netanyahu ieri - punta a mettere a disposizione degli alleati europei alle prese con ondate di siccità mai viste, Italia in primis.
LE RICERCHE
I pionieri hanno avviato le loro ricerche mettendo a punto un nuovo e rivoluzionario metodo di irrigazione a goccia grazie ad un ingegnere di origine polacca, Simcha Blass, che insieme al figlio, in un kibbutz vicino Beer Sheva, ha portato a compimento gli studi iniziati in Germania negli anni 30. E parallelamente andavano avanti le ricerche sulla desalinizzazione negli impianti che sorgevano in prossimità del mare e poi trasportavano l’oro blu nelle zone più aride e critiche. Oggi il 75 per cento dell’acqua nelle case degli israeliani viene dal Mediterraneo. Insieme ai primi impianti dalla tecnologia via via più avanzata, con le pompe aspiratrici sempre più potenti, con le vasche e i cilindri sempre più numerosi in grado di filtrare e purificare l’acqua marina si sono sviluppate le ricerche per il riutilizzo e la purificazione delle acque reflue provenienti dai centri cittadini.
E anche su questo campo i risultati non sono mancati. Oggi in Israele viene riutilizzato, dopo gli opportuni trattamenti, poco meno del 90 per cento delle acque reflue. Un dato estremamente significativo, soprattutto se comparato con le percentuali di altri paesi. Stando ai dati disponibili più recenti, la Francia che in questa particolare classifica occupa il secondo posto, si attesta intorno al 20 per cento. E a beneficiarne è soprattutto l’agricoltura che per oltre il 50 per cento delle coltivazioni si affida all’acqua riciclata.
Nelle università, soprattutto a Beer sheva - la "capitale del Negev"- si perfezionano corsi di ingegneria del deserto o di agricoltura desertica che hanno prodotto recentemente risultati di grande interesse per le coltivazioni in particolari condizioni agro-climatiche e si stanno mettendo a punto studi su un mix di acque con diverse salinità su diversi tipi di raccolto. La sfida dell’acqua è a tutto campo, la "water tech" si aggiorna e allarga l’orizzonte della sua ricerca : tra i tanti è stata avviato recentemente uno studio sulla copertura di riserve di acqua con pannelli solari per ottimizzare l’utilizzo delle superfici a disposizione. La sfida cominciata 75 anni e di cui Israele si propone come capofila, dunque, continua e si fa più ardua e globale. Un modello da esportare. Le zone aride e i deserti occupano il 41,3 per cento dell’intera superficie terrestre. La sete, la fame, le carestie, e le guerre spingeranno sempre più masse crescenti di disperati verso i paesi più sviluppati.