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 2023  marzo 11 Sabato calendario

Orsi & tori

L’autore che recensisce il proprio libro? Una bizzarria. Mi permetto di compierla per il rispetto che ho verso di voi lettori di Orsi&Tori, perché conosciate prima degli altri le ragioni che mi hanno spinto a scrivere il libro dal titolo Le Mani sull’Informazione (e quindi sulla Democrazia), che l’editore del Corriere della Sera, Urbano Cairo, ha voluto pubblicare con la sigla Solferino, con la quale ha riportato i libri in Rcs dopo la vendita della Rizzoli libri a Mondadori compiuta dai suoi predecessori.


Di vicende dell’informazione e dell’indipendenza dell’informazione, piena o assoggettata, ne avevo da raccontare dopo più di 50 anni in giornali come Panorama, il Mondo, MF-Milano Finanza, Capital e Class, la Tv della finanza Class Cnbc, quella della moda, Class TV Moda e quella delle metropolitane, degli aeroporti e degli autobus, Telesia




(che presto avrà un nuovo nome e un nuovo palinsesto): tutti osservatori, per fortuna, liberi e indipendenti. Per questo, tali vicende negative per la democrazia di un paese libero le ho scritte. Per un credo assoluto: che la democrazia piena può essere garantita solo dall’informazione libera e indipendente, sotto qualsiasi forma mediatica, quindi non condizionata da altri interessi se non quello di informare correttamente i cittadini in base alla tredicesima dignità della Costituzione, come ha ricordato il Presidente, Sergio Mattarella, nel discorso del suo secondo insediamento.


Informazione indipendente vuol dire non al servizio di interessi economici e di qualsiasi altra natura ancorché leciti, ma solo al servizio del cittadino che per le sue scelte politiche, di vita e di lavoro deve (dovrebbe) essere correttamente informato.




Di casi di informazione inquinata da interessi eterogenei nel libro ne racconto parecchi, ma voglio qui riferirne di uno esemplare, reso attuale da una recente intervista al Corriere della Sera da parte di Jas Gawronski, ottimo giornalista televisivo e grande amico dell’Avvocato per antonomasia, Giovanni Agnelli, nel ventennale della sua morte. Con Aldo Cazzullo, intervistatore impareggiabile, Gawronski ha usato naturalmente parole lusinghiere su Agnelli, ma nonostante la grande amicizia non gli ha fatto velo ricordare che suo nonno, Alfredo Frassati, direttore e primo proprietario de La Stampa, non aveva mai indossato la camicia nera e per questo Benito Mussolini aveva imposto la sospensione delle pubblicazioni del quotidiano torinese. Di quel quotidiano era piccolo socio il nonno di Agnelli, Senatore del Regno. E concordando l’operazione con il partito unico, il Senatore Agnelli divenne proprietario de La Stampa, tuttora di proprietà della famiglia torinese, riportandola in vita in base a un preciso accordo con Mussolini, mentre il nonno di Gawronski continuò a non indossare la camicia nera e perse il suo giornale.




Con lo stesso convincimento del nonno e cioè che i giornali (oggi sarebbe meglio dire i media) danno potere a chi fa un altro mestiere, il costruttore di automobili Giovanni Agnelli non si è accontentato de La Stampa, ma per ben due volte ha messo le mani sul maggior quotidiano italiano, appunto il Corriere della Sera. È stato così anche mio editore quando ero direttore de il Mondo e di Capital, che avevo fondato, e al di là del suo savoir faire, ho visto con i miei occhi come l’Avvocato sapeva usare i giornali. Per questo, prima che tornasse a controllare il Corriere, mi vidi costretto a querelarlo. Devo dargli atto che, grazie alla mediazione di Gianluigi Gabetti, affinchè ritirassi la querela presentata a tutela di tutta la redazione de il Mondo, accettò di venire a scusarsi in via Solferino, per dare atto della nostra professionalità, dando così ampia prova della sua eccentricità.


Ma nessuno può aver dubbi che Agnelli sia stato un editore per puro interesse e potere, anche se certamente privo di quella rozzezza che ha caratterizzato e caratterizza vari pseudo editori al servizio dei propri interessi economici, facendo gli interessi oltre che di se stessi di politici e di potenti del paese, così al loro servizio.




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Parlare di queste cose potrebbe sembrare anacronistico quando sulla scena dell’informazione operano ormai da anni i signori del digitale, da Google a Facebook, e ora i signori dell’intelligenza artificiale e delle chatbot, che si attribuiscono il diritto di rispondere alle domande di chi interroga con testi prodotti dai media, senza più neanche indirizzare, come almeno fanno motori di ricerca, alle fonti. Invece no, non è anacronistico né inutile, perché, per fortuna, proprio l’evoluzione della AI sta delineando una nuova epoca e nuove opportunità della difesa del copyright, che si apprestano a cogliere e a difendere paesi civili e avanzati come il Canada, l’Austria, o la Spagna o la Gran Bretagna. Tutti questi governi, sicuramente democratici e consapevoli dell’importanza per la democrazia dell’informazione libera e indipendente, sono convinti che si debba tornare al principio del rispetto del copyright e del pagamento, a chi li ha creati, dei contributi che emergono dagli Ott. Così come (l’ho scritto la settimana scorsa) dopo anni di rapina dei diritti, via internet, spettanti a chi ha scritto musica o l’ha cantata, oggi chi vuole godere di quella musica o di quel canto deve passare da Spotify e altre applicazioni, le quali per legge devono riconoscere i sacrosanti diritti degli autori e degli interpreti. Naturalmente, l’ascolto illegale per chi non paga i diritti del copyright esiste ancora, ma l’abusivismo è presente in qualsiasi campo. Per la musica è più difficile, perché è stato fatto un regolamento e chi lo viola può pagarne care le conseguenze. Lo stesso deve avvenire per l’informazione indipendente, deve esserci cioè il pagamento per la lettura di contenuti che sono coperti da copyright.




Se ciò avverrà, per chi fa informazione libera e indipendente sarà più facile produrla nell’interesse della democrazia, al di là e al di sopra degli interessi economici o di parte che oggi dominano larga parte del mercato delle notizie e delle analisi. Per dirla con il Presidente Mattarella «Dignità è assicurare e garantire il diritto dei cittadini a una informazione libera e indipendente». È per riaffermare il principio costituzionale regolarmente ricordato dal presidente Mattarella, che nel libro ho descritto una serie numerosa di casi indegni e antidemocratici. E per questo mi sono permesso di autorecensirmi.


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Per obiettiva informazione occorre dare atto a Giancarlo Giorgetti, ministro, poco leghista, dell’economia, di aver aperto, finalmente, il fondamentale cantiere della borsa, la cui consistenza è fondamentale per portare l’enorme capitale derivante dal risparmio italiano a essere investito nelle grandi (poche) e nelle medie e piccole (tantissime) aziende italiane. MF-Milano Finanza ha potuto leggere il documento di lavoro del ministero e ne ha dato conto dettagliato nell’edizione di mercoledì 8 marzo. Esso riflette quasi interamente le posizioni e le proposte messe a punto da un ristretto gruppo composto intorno a AssoNext, presieduta da Giovanni Natali. AssoNext ha preso il posto di AssoAim, quando il mercato italiano per le pmi ha preso il nome di Euronext Growth per rappresentare le società quotate, circa 150, e quelle, che potrebbero essere migliaia, da quotare. Da sempre sensibile a questo mercato è stato il commercialista e deputato leghista Giulio Centemero, che di frequente si è fatto interprete delle posizioni di AssoNext. Ecco quindi che finalmente potrebbe entrare in campo una categoria di investitori alla quale l’investimento in borsa era sostanzialmente interdetto: le Casse previdenziali, che hanno miliardi da investire e che, se avanzerà il progetto di riforma, potranno essere qualificate come investitori professionali e quindi operare la sottoscrizione di azioni di società quotande o comprare e vendere azioni di società già quotate. In questo modo si rafforzerebbe non poco la categoria degli investitori istituzionali, che in Piazza Affari non abbondano. Questa importante evoluzione era prevista nel Libro Verde sulla competitività dei mercati elaborato dal governo guidato da Mario Draghi, con cui il ministro Giorgetti ha avuto sempre uno speciale feeling.




Ma le innovazioni per far crescere un mercato borsistico asfittico come quello italiano, nel documento di lavoro sono anche altre. E riguardano anche le pmi in forma di srl, che volontariamente potrebbero richiedere di essere dematerializzate con la possibilità, così, di essere quotate senza bisogno di diventare spa. Le proposte riguardano anche l’abbassamento della soglia di capitalizzazione minima per i mercati maggiori (Mta) rendendo così più consistente anche lì l’arrivo di pmi. E proprio perché lo scopo è quello di far crescere le pmi con l’apporto di capitale, il documento prevede anche che il quorum per deliberare gli aumenti di capitale possa essere abbassato. Non vi è dubbio, infatti, che la stitichezza della borsa italiana dipenda in misura non secondaria dal diritto commerciale italiano, assolutamente rigido e quindi limitante rispetto ad altri mercati come pure quello francese, senza arrivare al diritto commerciale libertino o iperflessibile dell’Olanda, che sta facendo la fortuna della borsa di Amsterdam.




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Altrettanto importante è un’altra possibile riforma prevista nel documento di lavoro: una modifica sostanziale dell’approccio al controllo da parte della Consob. Il feeling che c’era fra Draghi e Giorgetti è analogo a quello fra Giorgetti e il presidente della Consob, Paolo Savona. Quando nel primo governo Conte, Savona era ministro per l’Europa e Giorgetti nella posizione chiave di sottosegretario alla presidenza, il dialogo era costante e se Savona doveva far capire ai 5Stelle e ai leghisti alcuni concetti fondamentali dell’economia, si rivolgeva a Giorgetti che da Palazzo Chigi traduceva in atti le idee brillanti del prof. Savona.


Ora il progetto è di ribaltare o quasi l’approccio di Consob verso le società quotate e da quotare e cioè da vigilanza inquisitoria a vigilanza collaborativa. Così ci si allineerebbe non solo ai Paesi Bassi ma anche alla Francia e all’Irlanda. E finalmente la Consob verrebbe liberata dall’eredità Andreottiana, quando il divino Giulio favorì una normativa rigida ma poi fece nominare presidente un gestore di sale cinematografiche come Bruno Pazzi, il quale, sentendosi pieno di potere, commise atti privati per i quali finì in carcere. In particolare, si stanno studiando modifiche alla normativa per permettere l’emanazione di decisioni con l’impegno di stipulare transazioni in materia di sanzioni, con soluzioni negoziali. Insomma rigore assoluto, ma non clima di polizia inquisitoria, che spesso nasconde, come è accaduto, più tentativi di mostrare il pugno di ferro da parte di alcuni commissari, specialmente ex magistrati, per ragioni di potere interno più che per scelte utili al mercato, agli azionisti e alle società.




Negli intendimenti del documento di lavoro vi è anche quello combattere la burocrazia difensiva da parte del personale e dei componenti della commissione. Come? Facendo in modo che le azioni di responsabilità civile possano essere proposte solo nei confronti della Consob, come authority, non nei confronti dei dipendenti e dei componenti dell’organo di controllo. E il documento guarda anche all’obiettivo di alleggerire gli obblighi di segnalazione delle operazioni eseguite dagli azionisti di controllo, allineando la normativa europea. Infine, il personale dell’organo di controllo: per il loro passaggio ad altri incarichi pubblici sono necessari due anni dopo l’uscita dalla Consob, mentre il documento prevede una riduzione a un anno.


Insomma, tutto il documento mira a semplificare e quindi ad alleggerire sia gli obblighi delle società e degli amministratori sia quello dei dipendenti e dei commissari della Consob. Con l’obiettivo che il clima sia più favorevole alla collaborazione, negli interessi della crescita del mercato, verso il quale non vi è dubbio che ora moltissimi capi di pmi o anche di grandi società hanno il timore, quotandosi, di entrare in un girone dantesco.


Bene, Signor ministro Giorgetti. Si vede che si è laureato alla Bocconi. Tutto ciò è molto importante, ma non basta. Per creare finalmente un vero mercato dei capitali anche in Italia, per far diventare gli italiani investitori e non solo depositanti di oltre 1.700 miliardi di euro nelle banche, per cambiargli lo schema mentale per cui «tanto, ci sono i Titoli di stato che rendono ora percentuali che non si vedevano da tempo», occorre una cura choc e l’unica è quella fiscale. I Pir, anche se rinnovati non bastano. La leva fiscale, insieme a tutto quanto è previsto nel documento di studio, va usata sia verso le aziende per convincerle a quotarsi sia verso chi sottoscrive le azioni. Un’operazione straordinaria, naturalmente a termine di 3-4 anni, con l’obiettivo di avere più di mille società quotate in borsa e milioni di risparmiatori che diventano azionisti. Solo con una operazione straordinaria si risolverà il problema di far crescere almeno mille pmi che diventino società che fatturano miliardi. Quindi solo con una forte crescita del pil italiano si potranno cambiarne i trend. L’Italia ha le risorse umane, tecnologiche, creative per far fare al pil una crescita del 4-6% all’anno, diventando finalmente un paese capitalista, nel senso che il capitale costituito dal risparmio viene usato per lo sviluppo. E con il forte sviluppo si migliorerà anche l’indebitamento pubblico, per il quale proprio lei, Signor Ministro, non deve dimenticare il progetto del tagliadebito, per il quale Intesa Sanpaolo da tempo ha studiato la possibilità di creare e piazzare fondi di investimento per mobilitare l’enorme patrimonio costituito dai beni immobili passati dallo stato agli enti locali.


È soltanto la combinazione di un forte sviluppo, con la creazione di un vero mercato dei capitali che mobilizzi il grande risparmio in capitale produttivo, e di un deciso tagliadebito straordinario, che può mettere l’Italia in sicurezza dagli inevitabili attacchi di Germania e paesi frugali. Signor Ministro Giorgetti, se ItaliaOggi può permettersi, riteniamo che Lei abbia imboccato la strada giusta, ma occorre accelerare e non dimenticare mai che lo sviluppo e quindi anche le entrate dello stato si verificano solo quando si alza moltissimo il livello degli investimenti. Non esiti a fare manovre coraggiose con la leva fiscale, come fu fatto ai tempi delle privatizzazioni.