Corriere della Sera, 11 marzo 2023
L’unità d’Italia e il Sud
FU UNA GUERRA CIVILE
MA NON TRA NORD E SUD
Caro Aldo,
«Non faccia come i neo borbonici che hanno trasformato i quattro cadaveri trovati a Fenestrelle in quattromila, ma che dico, quarantamila. I numeri sono importanti» scrive lei. È vero, sono importanti. Ed è sulla considerazione di quei numeri che dovremmo riflettere. Fosse stato solo uno il morto di Fenestrelle, quello era un italiano che la pensava diversamente e andava trattato come un italiano dissenziente e non come un nemico o un traditore. Questa è le vergogna di Fenestrelle, non il numero dei morti, ma l’idea che gli italiani del Regno di Napoli non fossero italiani. La prego non mi accusi di neoborbonismo, non lo sono. I Borboni di Napoli stavano dalla parte sbagliata della Storia e per questo era giusto che fossero messi fuori gioco. I vincitori, però, fecero l’Italia geografica, non fecero gli italiani. Dopo Cavour la classe dirigente fu mediocre e non all’altezza del grandioso progetto di fare gli italiani.
Fidelio PerchinelliCaro Fidelio,
lei ha ragione su molti punti. La morte di Camillo Benso di Cavour, genio di statura europea, lasciò un vuoto incolmabile. I primi decenni di storia unitaria, sino all’avvento di Giovanni Giolitti, sono segnati da un conservatorismo ai limiti della reazione, con re Umberto che decora il generale Bava Beccaris per aver cannoneggiato gli operai milanesi. Ricordi però, gentile signor Perchinelli, che sul Vittoriano, il monumento a Vittorio Emanuele II, è scritto non solo «patriae unitati», all’unità della patria, ma pure «civium libertati», alla libertà dei cittadini. Il Risorgimento non si limitò a unificare la nazione; segnò la fine dei ghetti e delle forche, dei tribunali ecclesiastici e del potere temporale del clero, l’avvento della scuola pubblica, gratuita e obbligatoria, insomma l’inizio del cammino verso l’uguaglianza tra i cittadini. È vero che Vittorio Emanuele non volle cambiare nome e diventare «primo»; ma è vero che spostò la capitale dalla città in cui era nato e cresciuto, Torino, per portarla prima a Firenze (dove la pena di morte era già stata abolita), poi a Roma. Aveva pensato di fissare la capitale provvisoria a Napoli, ma poi saggiamente rinunciò perché, disse, «da Napoli non si potrà più andare via». Napoli era infatti di gran lunga la più popolosa città italiana. È vero che dopo l’unità è cresciuta meno di altre città, in termini demografici e industriali. Così come è vero che dopo l’unificazione ci fu al Sud una guerra civile. Ma è disonesto presentarla come una guerra del Nord contro il Sud. I primi nemici e le prime vittime dell’alleanza tra briganti, partigiani dei Borbone e nostalgici del potere temporale del clero furono i borghesi e i popolani meridionali favorevoli all’unità, cui si dovette principalmente la vittoria finale, come dimostra Carmine Pinto nei suoi bei libri pubblicati da Laterza «La guerra per il Mezzogiorno» e «Il brigante e il generale» (dove il brigante è Crocco e il generale è Pallavicini).