il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2023
Gli chef del grande schermo
Piatto ricco mi ci ficco: non a tavola, ma sullo schermo. Piccolo o grande che sia, è imbandito come non mai: l’abbuffata non ha più il voltaggio nichilista del capolavoro di Marco Ferreri, bensì uno stile fusion per sfamare insieme palati raffinati e bassi appetiti. A ciascuno il suo e a ognuno lo stesso, con una certezza: che sia il talent Masterchef o la (fuori)serie The Bear, il cibo nell’audiovisivo assume la figura retorica della sineddoche, ossia la vista – al più, l’udito con qualche sfrigolio e tintinnar di posate – per il tutto sensoriale, giacché il gusto e l’olfatto sono irriproducibili. La sinestesia è à la carte. Per gli spettatori valgano le parole de Il pranzo di Babette, il film premio Oscar (1988) di Gabriel Axel dal racconto di Karen Blixen, che tra brodo di tartaruga e Blinis Dermidoff, cailles en sarcophage e Clos de Vougeot 1845 serviva la Grazia: “Misericordia e verità si sono incontrate, amici miei. Rettitudine e felicità devono baciarsi. Nella nostra umana debolezza e miopia crediamo di dover scegliere la nostra strada in vita e tremiamo per il rischio che quindi corriamo. Abbiamo paura. Ma no, la nostra scelta non è importante”. L’algoritmo delle piattaforme sottoscriverebbe.
Sfrondata di calvinismo e emendata di spiritualità, l’offerta attuale è ecumenica ma laicissima, battezzata dai festival, custodita dalle sale, ridondata sul web, con una sintassi alimentare che chiama in causa un altro classico, quello di Ang Lee del 1994: Mangiare bere uomo donna. Streaming a parte, in una videoteca che si rispetti, oltre ai succitati non dovrebbero mancare piatti miliari quali Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro, Il gusto dell’anguria di Tsai Ming-liang, Kitchen di Yoshimitsu Suzuki, Chocolat di Lasse Hallström, Big Night di Stanley Tucci, Ratatouille di Brad Bird e Jan Pinkava, Pomodori verdi fritti alla fermata del treno di Jon Avnet e Tampopo di Jūzō Itami. Specialmente sul fronte seriale, la fortuna dei prodotti enogastronomici è assistita dalla combo streaming-delivery: ristorante e cinema a casa, un occhio al piatto e l’altro allo schermo, con buona pace del movimento e dell’esperienza. Da Searching for Italy di Stanley Tucci a Ugly Delicious, da Chef’s Table a Food Wars!, si impiatta il mero consumo, fotografando una sensibile e perfino inquietante transizione: esecrata e cassata l’abbuffata alimentare, si accetta se non incentiva quella visiva, che prende il nome di binge watching. Ma non servirebbe mettere a dieta pure gli occhi? Lontani i tempi in cui la pioneristica distributrice Vania Protti Traxler – ricorda nel memoir Sognavamo al cinema – faceva della cena la prosecuzione per altri manicaretti della premiere, di tovagliolo contratto (per Légami! di Pedro Almodóvar) e di menù, per l’esordio di Tom Ford A Single Man, sorpresa. Bianche le tovaglie, bianchi i fiori, bianco il pesce, come da perentoria richiesta dell’assistente: “Mangia solo quello”, senonché a fine ricevimento lo stilista texano si rivelò ghiotto di fiorentine da tre chili: Vania rimane sbalordita, lui sorride del diktat della publicist: “Si devono pur guadagnare lo stipendio”. Oggi la grammatica culinaria è forse più democratica, di certo meno sofisticata, e predilige il domicilio seriale: trova campo familiare e attitudine militare con The Bear (Disney +); declina l’alfabeto sentimentale – e le sfuriate in padella – di James Corden in Mammals (Prime Video); si dibatte tra zuppa di miso e malinconia allargata in Midnight Diner: Tokyo Stories (Netflix); celebra l’estroversione esotica del compianto Anthony Bourdain con No Reservations e Cucine segrete, il Dinner Club (Prime Video) in giro per l’Italia di Carlo Cracco oppure Giorgione: orto e cucina (Sky) contro il fighettismo del palato. Reali o meno, gli chef hanno piena residenza nell’immaginario collettivo: la scomparsa Julia Child è incarnata da Meryl Streep nel film Julie & Julia (Prime Video) e dalla meno nota Sarah Lancashire nella serie HBO Max Julia; Bradley Cooper, Il sapore del successo (Netflix), Catherine Zeta-Jones, Sapori e dissapori (Prime Video), e Helen Mirren, Amore, cucina e curry (Prime Video), catalizzano versioni parimenti stellari e stellate. Freschi di sala e disponibili (il secondo dal 18 aprile) in homevideo, il britannico Boiling Point, con l’ottimo Stephen Graham, ha sottotitolo ineffabile: Il disastro è servito, di converso, il francese Sì, chef (La brigade) molla gli assoli ai fornelli per la solidarietà ai migranti. Non resta che soddisfare quest’acquolina tutta visiva, rammentando il Marcello (Mastroianni) de La grande abbuffata: “Siete tre coglioni! È che non si può morire mangiando!”. Guardando invece?