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 2023  marzo 09 Giovedì calendario

Intervista a Mariam Battistelli




Debuttare alla Scala è un’emozione unica per tutti. Per Mariam Battistelli un po’ di più. Perché ci vuole una stella buona davvero per far arrivare una bimba abbandonata in un orfanotrofio dell’Africa fino alla ribalta del teatro più prestigioso del mondo. In una delle opere più amate, La bohème edizione Zeffirelli, dove lei dal 16 marzo sarà una seducente Musetta dalla pelle nera. «Ruolo bellissimo, l’ho già cantato a Vienna e ad Amburgo, Muscat, Montecarlo. Ma la Scala... Per me che sono lombarda, un doppio sogno».
Ma è nata ad Addis Abeba.
«Sì, ma ci sono stata solo per poco. Avevo qualche ora di vita, il cordone ombelicale ancora attaccato, quando qualcuno mi ha lasciata davanti a un orfanotrofio. Le suore mi hanno raccolta, mi hanno battezzata Mariam, come la Madonna. Che deve avermi dato una mano visto che dei medici mantovani che operano in Etiopia mi hanno trovato una mamma in Italia. Sono arrivata a Mantova a otto mesi, mamma Laura mi ha accolta con amore totale».
C’era anche un padre?
«Si sono separati quasi subito. Mia madre, che lavorava con i disabili, mi ha cresciuta da sola. Si è dedicata a me con tutte le forze. Bravissima a farmi sentire accettata da tutti, a mitigare ogni difficoltà».
La sua pelle scura gliene ha create?
«In realtà no. Ero la sola nera in città, ma anche piccola e carina. Mi bastava un sorriso per conquistare chiunque. Poi a scuola, qualche battuta sì... Subito rintuzzata da mia madre: “Le insicurezze degli altri non sono un problema tuo”. Poi è arrivato il canto».
Come ha scoperto la sua voce?
«Mia nonna Lilli mi cantava romanze da Traviata e B ohème. A otto anni mi ha portata a vedere Don Giovanni al teatro del Bibiena. Un incanto. E poi una maestra bravissima, innamorata della musica. Mi sentì cantare, mi indirizzò a un insegnante di voci bianche... Cominciò così».
E come andò avanti?
«Al Conservatorio, corsi di flauto traverso e canto. A 18 anni studiavo, cantavo e, per non gravare troppo sulla famiglia, facevo la cameriera in un caffè. Dove un giorno si sedette Placido Domingo, lì per il Rigoletto di Bellocchio diretto da Mehta. Si incuriosì, volle ascoltarmi, mi fece avere una particina: il paggio. Il mio debutto all’opera è stato in tv in un film. Poco dopo mi ritrovai a Valencia, a studiare nel centro perfezionamento di Domingo».
Sono tornata nel mio Paese e una donna
mi ha detto: ti do mio figlio, portalo con te
Un’offerta straziante
E poi altro colpo di fortuna.
«In un concorso di canto a Roma in giuria c’era Dominique Meyer, allora sovrintendente a Vienna. Mi invitò alla Staatsoper in un crescendo di ruoli: dalla modista del Rosenakavalier a Pamina, da Barbarina a Gretel e Musetta».
Chi è per lei Musetta?
«Una ragazza piena di gioia di vivere. Sogna bei vestiti, un futuro migliore, ma non è una coquette. È generosa, vende i suoi orecchini per comprare un manicotto alla malata Mimì».
Dall’Etiopia a Mantova, da Valencia a Vienna. E ora la Scala. Grande soddisfazione anche per sua madre.
«Purtroppo è morta due anni fa. Fin che ha potuto mi ha seguita ovunque, orgogliosissima di me. Mi ha dato così tanto. Sono venuta al mondo due volte, la seconda grazie a lei».
Non le è mai venuta la tentazione di scoprire chi fosse la sua madre biologica?
«Certo. Anni fa sono tornata in Etiopia, ho chiesto notizie alle suore che mi avevano salvata. Ho cercato in alcuni villaggi, ma niente. Forse era morta dandomi alla luce, forse era una delle tante che ancora oggi, quasi bambine, si ritrovano incinte, e non per scelta. In Etiopia ho visto l’altra vita, quella che avrei avuto se fossi rimasta lì. In un villaggio una donna mi ha detto: ti do mio figlio, portalo in Italia. Un’offerta straziante. Quando sarà il momento adotterò anch’io uno di quei bambini».
E un altro suo sogno?
«Indossare i panni della principessa etiope nell’Aida, sarebbe una favola. E non si porrebbe neanche la questione del blackface...».