Il Messaggero, 9 marzo 2023
Intervista a Giovanna Ralli
Simpatia, garbo, eleganza. Doti naturali?
«Penso che siano naturali. Io sono rimasta quella che ero. Forse è l’educazione avuta da parte della mia famiglia, da mia madre. Sono timidissima e riservata. Nel cinema riuscivo a dare il massimo perché non ero io».
La classe di che cosa si compone?
«O ce l’hai o non ce l’hai. La classe non è acqua».
La volgarità: troppa oggi?
«Oggi siamo più aperti di un tempo. Una volta si era più riservati: forse c’era la volgarità, ma la si teneva dentro».
Il suo rapporto con la stampa?
«Quando ti chiedono un’intervista devi scegliere a chi concederla. Sono sempre stata molto selettiva».
Che cosa le suggerisce la parola diva?
«Non credo di essere una diva. No. Diva era Gina Lollobrigida. È stata la prima che ha lavorato all’estero. Bellissima: il viso della Lollobrigida nessun’altra lo ha mai avuto. Lei è stata brava, molto».
Cosa è per lei recitare?
«Non amo la parola recitare. Io non recito, io interpreto il personaggio».
Come ha vissuto il suo matrimonio durato 38 anni?
«È stato stupendo. Sono otto anni che è scomparso Ettore: è stato un compagno straordinario. Eravamo una persona unica. Negli ultimi anni era subentrata la tenerezza: la cosa più bella dell’amore».
Che effetto fa l’amore del pubblico?
«Come un vento avvolgente. Io non volevo fare l’attrice, ho cominciato a fare la comparsa a 13 anni, per aiutare la famiglia. Mi ricorderò sempre la prima volta che andai ad una visione privata di un mio film, Villa Borghese protagonista Vittorio De Sica. E tutti a dire: “Ma quanto è brava questa ragazza. Come si chiama questa attrice?”. Ci fu una critica straordinaria di Filippo Sacchi su Epoca. È li che mi sono detta: “Devi continuare"».
Gli applausi a teatro, un momento magico?
«Sì. Ho fatto teatro per otto anni. Alla fine con quel suono delle mani che battono ti assale un’enorme emozione. Prima di entrare in scena le mani sono umide, il terrore ti pervade. Si apre il sipario e tutto diviene naturale».
Affetti, quali?
«Prima la famiglia, poi gli amici e le amiche. Pochi».
Con chi ha lavorato meglio?
«Con Sordi, con Mastroianni, con Tognazzi, con Gassman. Con tutti sono andata d’accordo. Ho lavorato anche con Michael Caine, un partner straordinario».
I ricordi riscaldano la vita?
«Cerco di pensare sempre al presente. Ci sono delle vicende che magari puoi ricordare come in questi giorni dopo la scomparsa di Maurizio Costanzo, un carissimo amico, che ho conosciuto quando eravamo ragazzi. In questo frangente ho voluto ricordare, ma non sempre lo faccio volentieri».
Il suo successo indimenticabile?
«Una giornata particolare, la riduzione teatrale della moglie di Scola. Quando Ettore mi offrì di farla io rifiutai. Era stata talmente grande Sofia sullo schermo che temevo i paragoni. Scola mi disse: “Ma tu sei romana, tu lo fai come ti senti, tu sei tu”. L’ho fatto. Critiche straordinarie e premio come migliore attrice dell’anno».
Il peggior difetto degli attori?
«Non essere puntuali. Io sono di una puntualità pazzesca, per rispetto verso i miei compagni di lavoro».
A una ragazza che le chiedesse un consiglio sul mondo dello spettacolo che cosa direbbe?
«Prima di tutto deve avere talento e per scoprirlo devi fare la gavetta. Al primo ruolo se sei portata, allora vai avanti. Poi coltivi questo talento. Studiare recitazione non c’entra niente».
C’è stato un maestro che l’ha guidata?
«Sergio Amidei, il più grande sceneggiatore che abbiamo avuto. Poi Age e Scarpelli. Sergio mi disse una cosa bellissima: “Basta credere a quello che dici”. Lui mi ha insegnato a leggere le sceneggiature. Avevo 14 anni, non avevo studiato. Ha preso anche una professoressa, che è venuta a casa, per farmi studiare e colmare questa mia lacuna. Nacque una gara fra loro per mandarmi i libri».
Ha un rimpianto che la insegue ancora?
«Non ho rimpianti, quello che ho fatto nel mio lavoro è quello che ho voluto fare».
Con gli anni prevale l’egoismo o la generosità?
«La generosità. Ho 88 anni, una grande età, più vado avanti con l’età e più sono generosa».
C’è una frase ascoltata nell’infanzia che l’ha accompagnata per tutta la sua vita?
«La mia infanzia è stata un periodo terribile. Papà lavorava poco. Non stavamo bene. Papà e mamma però erano molto innamorati, e di questo loro amore, in un momento molto difficile come la guerra, ci siamo nutriti anche noi. La frase? Quando suonavano le sirene mamma mi diceva “Amore, attaccati alla gonna di mamma che dobbiamo andare al ricovero”. Io mi attaccavo alla gonna e correvo. Mi ricordo tutto della guerra, come se fosse ieri: le retate, i bombardamenti, la fame, il freddo.
Avevo nove anni e non ero più una bambina. Ero già matura».
C’è una parola che considera la più bella?
«Amore, in tutti i sensi».
Il denaro e la felicità vanno d’accordo?
«Eravamo felici pure senza una lira. In casa non c’erano tanti soldi però eravamo felici. Il denaro aiuta, certo, come negarlo?».
Che cosa pensa dell’avarizia?
«È terribile essere avaro. Dicevano che Alberto Sordi fosse avaro invece è stato l’uomo più generoso del cinema italiano. In silenzio ha fatto tantissima beneficienza».
Che differenze vede tra gli attori della sua generazione e quelli di oggi?
«Sono cambiati i tempi, non le storie. Oggi c’è un’interpretazione più veloce. Paola Cortellesi, una grandissima attrice, o Claudia Gerini».
Saper recitare serve anche nella vita?
«Detesto la parola recitare. Bisogna essere sé stessi, non si deve recitare».
Il brano musicale che la emoziona di più?
«Io che amo solo te di Sergio Endrigo. Un capolavoro».
Che cosa la irrita di più nel rapporto con il prossimo?
«La slealtà. Amo chi è leale».
C’è uno stato d’animo dominante che l’accompagna più spesso?
«Dipende. Ci sono giornate che mi sento allegra, rido e scherzo, ma anche momenti di tristezza. Dalla perdita mio marito, otto anni fa, non mi sono più ripresa. Nei primi due anni non sono mai uscita di casa. Oggi mi faccio forza, voglio essere attiva. Mi piace moltissimo leggere e non inizio mai la giornata senza aver letto il mio giornale, Il Messaggero».
Quando si deve decidere di spegnere le luci della ribalta?
«Io da quel dì che le ho spente. In Italia personaggi della mia età non se ne fanno. All’estero ci sono delle attrici che hanno superato i 70 anni e lavorano. In Italia al cinema le storie dopo i 45 anni non si fanno più. C’è anche l’amore a sessant’anni, a settant’anni. Un amore diverso, non esplorato nel cinema italiano».
In cinque parole: chi è davvero Giovanna Ralli?
«Una persona come tante altre. Non mi sento Giovanna Ralli, non so come dire, mi sento semplicemente Giovanna».