Avvenire, 9 marzo 2023
Il Mar Morto si sta prosciugando per far fiorire il deserto
“Far fiorire il deserto” è sempre stata, fin dalla Fondazione dello Stato – nel 1948 – una delle missioni di Israele che, negli anni, grazie alle sue eccellenze nell’high tech, si è trasformata in “Startup nation”, facendo da concorrenza alla Silicon Valley, e applicando queste tecnologie anche nell’agricoltura, soprattutto per la salvaguardia dell’acqua, risorsa fondamentale in un ambiente desertico come quello israeliano. Accade così che, in meno di 75 anni, la trasformazione di un territorio arido e inospitale in campi coltivati e la miracolosa riforestazione fa di Israele l’unico Paese al mondo che oggi ha più alberi di un secolo fa.
Tra le diverse tecnologie che hanno permesso questo miracolo si ricorda, una tra tutte, l’irrigazione a goccia – poi esportata nel resto del mondo – scoperta quasi per caso nel 1959 grazie all’intuizione di Simcha e Yeshayahu Blass, padre e figlio, che vivevano nel Kibbutz Hazerim, collocato proprio nel deserto del Negev. Oggi sono circa 250 le aziende che sviluppano tecnologie e attrezzature per l’acqua, oltre alle 180 startup che operano nel settore.
Sicuramente, una delle sfide principali, sia per Israele che per il resto del mondo, è quella del risparmio dell’acqua attraverso la desalinizzazione, che vede lo Stato ebraico leader anche in questa tecnologia. Come spiega Eyal Schreiber, Presidente di Wda ( Water Desalination Administration) e direttore della Divisione per la desalinazzione «produciamo 600 milioni cubi d’acqua oggi anno, attingendo direttamente dalle nostre coste affacciate sul Mediterraneo e rifornendo quasi l’intero Paese, che utilizza questa risorsa per il 70% del consumo di acqua potabile quotidiana. Mentre, per l’irrigazione dei campi, vengono impiegate le acque reflue, che provengono direttamente dalle principali municipalità, per poi essere riciclate, fino al 90%, nel settore agricolo, facendo di Israele il Paese numero 1 al mondo per il riutilizzo delle acque». Nonostante questo primato, questa straordinaria tecnologia ha ancora costi tali per cui, soprattutto nel nord del Paese, una delle principali risorse idriche rimane il Lago di Tiberiade, il cui livello dell’acqua, a causa del costante aumento della popolazione, non fa che abbassarsi di anno in anno.
Tra le numerose conseguenze, questo comporta una sempre minor portata d’acqua attraverso il fiume Giordano – altra importante fonte di sostentamento anche per i Territori Palestinesi e per la Giordania – fino ad arrivare, sempre meno, al Mar Morto, il cui livello del mare, dagli anni ’60 a oggi, è sceso di oltre 30 metri, e ormai si sta prosciugando di un metro all’anno: andando avanti con questi ritmi, in un futuro non troppo lontano rischia di scomparire del tutto. Oltre al delicato equilibrio della regione, duramente messo alla prova dal riscaldamento globale, a mettere in ulteriore pericolo il lago più salato e più profondo al mondo è l’eccessivo sfruttamento del cloruro di potassio e magnesio, utilizzati per la produzione di un potente fertilizzante, che hanno reso la Dead Sea Works la quarta produttrice mondiale
nella fertilizzazione. Tuttavia, non è solo Israele a essere responsabile di questo prezioso e delicato patrimonio dell’umanità, ma anche Giordania e West Bank. Ragione per cui, dal 1994, Eco peace, una Ong israeliana con sede a Tel Aviv, collabora attivamente con Ramallah e Amman per cercare soluzioni alternative per la difesa di questo fragile ecosistema.
Come ci racconta Nadav Tal, Water Officer dell’Ong: «lo scopo principale dell’organizzazione è quello di sensibilizzare non solo i decisori politici dei tre Paesi direttamente coinvolti, ma anche la comunità internazionale, essendo il Mar Morto un microcosmo che rappresenta tutti i rischi che la crisi climatica comporta a livello globale. Una delle soluzioni più auspicabili, è proprio quella di rinvigorire il lago con l’aggiunta di acqua riciclata, che, anche in questo caso, risulta una delle tecnologie più importanti da implementare. Non solo in Israele»