la Repubblica, 9 marzo 2023
Intervista a Can Yaman
Un tour per raccogliere fondi e aiutare gli adolescenti che vivono un disagio. «Io sono stato un ragazzino felice, studiavo, mi piaceva quello che facevo. Dopo la pandemia vedo tanti ragazzi che hanno problemi, si rifugiano nei social, preferiscono il mondo virtuale rispetto alla realtà. Forse sto un po’ invecchiando» dice sorridendo Can Yaman, 33 anni, «ma volevo stare un po’ tra i giovani». Camicia di raso di seta color glicine, pantaloni della tuta, i capelli raccolti in uno chignon, l’attore racconta l’iniziativa benefica “Break the wall”, nata con la sua associazione Can Yaman for Children. Oggi visiterà la sede di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Umberto I di Roma, centro di eccellenza fondato dal professor Giovanni Bollea, che sosterrà. E andrà in giro fino a giugno per tutta l’Italia, dal Nord al Sud. Nato a Istanbul, studi al liceo italiano, parla cinque lingue. L’idolo delle folle Yaman – 10 milioni di follower su Instagram – è serissimo e pesa le parole.Che adolescente è stato?«I miei successi sono legati agli studi che ho fatto durante l’adolescenza. Mia nonna era insegnante, mia madre ha studiato Letteratura turca. Mi ha trasmesso la passione per i libri, nonna era esagerata: si è trasferita a Bodrum e si era costruita una biblioteca. Era una cantante d’opera, ha inciso anche dischi, era un’artista. Il marito non voleva». Da ragazzino cosa le faceva paura?«Non avevo paure: sognavo il futuro, mi chiedevo: che tipo di persona sarò? Ero determinato, ambizioso. E fortunato, i miei amici erano maturi, condividevamo la passione per la lettura. Sì, ero secchione. Ho fatto sport, lo sviluppo mentale e quello fisico sono andati di pari passo. Poi mi sono laureato in Giurisprudenza». Il tour si intitola “Break the wall”: il primo muro che vorrebbe abbattere?«Il muro dell’indifferenza. Per colpa della pandemia, pertroppo tempo ci siamo focalizzati solo sui danni fisici, trascurando quelli psicologici. La gente non fa attenzione ai problemi che non si vedono. Viviamo con persone problematiche, la pandemia ha incrementato il disagio. Ci siamo trovati rinchiusi, gli adolescenti, non sono andati a scuola, non hanno potuto socializzare». Con questo tour parte dei fondi sarà destinata anche a sostenere i superstiti del terremoto in Turchia.«Il terremoto è stata unacatastrofe. Ma se i palazzi fossero stati costruiti seguendo le regole, da persone competenti, non avremmo avuto tanti morti: non erano antisismici. Anche l’ignoranza è un nemico. Per questo gli adolescenti devono avere le stesse possibilità di studiare e di sognare. Per essere veri cittadini del mondo, non solo con i social». Facendo l’attore ho trovato la sua strada?«Sì ma se avessi cominciato a recitare senza aver fatto i miei studi, che mi hanno dato sicurezza, mi sarei sentito vuoto. Recitare in italiano o in inglese, come nell’ultima serie che ho girato a Budapest per Disney, superare le sfide, mi piace». Quando va in giro si ferma il traffico, la cosa più folle che è successa?«Non mi piace parlarne, mi sembra di essere megalomane. Mi piace abbracciare queste situazioni con sangue freddo. Ho digerito la popolarità, quando la digerisci diventi più maturo. Anche gli episodi folli ti arricchiscono il carattere, sai interagire. Alla fine impari a essere grato: la vita mi ha dato tantissime opportunità».E com’è cambiato?«Mi sono evoluto tantissimo. La mia vita è fatta di fasi, a seconda delle circostanze divento un’altra persona. La mia crescita non si ferma. Non sarei potuto diventare quello che sono se non avessi vissuto, avuto buone basi. L’adolescenza mi ha reso forte». A che punto è il progetto di Sandokan?«È un progetto internazionale importante, penso ci voglia tempo. Ma spero proprio che si riesca a fare».