il Giornale, 8 marzo 2023
Una stella a Hollywood per Giancarlo Giannini
Rodolfo Pietro Filiberto Raffaello Guglielmi, è stato il primo attore italiano di sempre a ricevere una stella, postuma, sulla mitica Walk of Fame di Hollywood. Diventato famoso con lo pseudonimo Rodolfo Valentino, in soli trentuno anni di vita riuscì a diventare un’icona internazionale del cinema muto, entrando per sempre nella storia della settima arte. A distanza di sessantatrè anni – la stella di Valentino è stata posata nel 1960 – la camera di commercio di Hollywood ha deciso che è arrivato il momento di dedicare a un altro interprete italiano, il riconoscimento più ambito. Giancarlo Giannini, leggenda vivente della settima arte, è diventato il secondo attore maschio italiano di sempre a venire onorato con una «star» sul boulevard più prestigioso. L’attore, doppiatore e regista, nato a La Spezia nel 1942, è arrivato negli Stati Uniti con qualche giorno di anticipo per partecipare al Filming Italy Los Angeles. Il festival organizzato da Tiziana Rocca e giunto alla sua ottava edizione, lo ha voluto onorare con il Life Achievement Award dopo avere mostrato al pubblico un video che raccoglieva le congratulazioni fatte a Giannini da parte di colleghi del calibro di Dustin Hoffman, Michael Douglas, Don Johnson e Jim Belushi. «Di premi ne ho ricevuti tanti nella vita ha esordito Giannini, seduto a un tavolo del Beverly Hilton Hotel di stelle ne ho già due, una a Toronto e un’altra in una città dell’est Europa di cui non ricordo il nome. Tutti i riconoscimenti sono gratificanti, questo sulla Walk of Fame però credo sia il più bello». Perché? «Corona la mia carriera. Per me è addirittura più importante di un Oscar. Non mi hanno voluto dare la statuetta per Pasqualino Settebellezze, anche se mi avevano nominato, ora ci sarà il mio nome scritto per sempre sui marciapiedi della capitale del cinema mondiale. Sono davvero contento». La sua stella verrà posata a pochi passi da quella di altre leggende del cinema come Lina Wertmüller, Sophia Loren, Anna Magnani. Cosa si prova a fare parte di questo piccolo Olimpo italiano? «Sono tutte persone con cui ho lavorato. Con la Magnani ho fatto sia cinema che teatro. Con la Wertmüller ho fatto diversi film, anzi, è proprio grazie a lei se oggi mi trovo qui, è stata Lina a inventarmi come attore. Sempre lei a fare da regista nei due film che ho fatto con la Loren. Sono grato anche a Tiziana Rocca che è stata la prima a proporre la mia stella alla camera di commercio di Hollywood». Il cinema come filo conduttore di un’intera vita? «Purtroppo la settima arte non naviga in buone acque, da parecchio tempo. Però noi continuiamo a farlo, perché è come una favola che raccontiamo ai grandi. Da piccolo la mamma ti racconta le più belle storie e tu puoi sognare di essere il più grande regista, il più grande scenografo, il gatto con gli stivali, quello che vuoi. Da adulti però nessuno ci fa sognare, per questo ci siamo noi attori. Tutto quello che facciamo vive nella finzione, come una grande realtà virtuale che ci porta via per qualche ora da questa realtà un po’ bruttina di questi tempi». In un’intervista lei ha detto: a Hollywood mi dedicano una stella, mentre a Venezia non mi hanno dato neanche un gatto nero. Ritiene che l’Italia sia stata irriconoscente nei suoi confronti? «Assolutamente no, io devo molto agli italiani che hanno quasi sempre riempito le sale con i miei film più belli. Naturalmente ne ho fatti anche di brutti, però non è certo colpa dell’Italia. Credo che il nostro sia il Paese più bello al mondo. Il posto in cui si mangia meglio e anche il luogo in cui sono stati fatti i film che hanno insegnato a tutti quanti a fare il cinema. Cabiria è un film muto del 1914 che ha ispirato Ben Hur e altre pellicole. Gli stessi Spielberg e Scorsese sono amanti del cinema italiano. Gli attori poi, da Brando a Pacino, De Niro, Di Caprio, hanno tutti origini italiane. Ma che si può volere di più da un Paese?». Ce lo spieghi lei. «L’Italia ha iniziato a darmi tanto già a scuola. Ho vissuto a Napoli, studiavo all’Alessandro Volta e il mio professore di fisica era il compagno di banco di Enrico Fermi. Sono stato candidato all’Oscar, ho vinto a Cannes, tanti Donatello e Nastri d’argento ma mai un Leone. Va bene così, è comunque grazie a questo percorso che sono arrivato qui, a Los Angeles, per ricevere questo storico riconoscimento. Una stella è per sempre». Non solo cinema. L’altra sera, all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, ha detto che lei è il Re del pesto. «Tutto nasce da un’intervista che mi hanno fatto qui in America. Mi chiedevano di raccontare un piatto che preparo e che mi piace molto. Ho risposto: la pasta al pesto. Allora mi hanno chiesto di spiegare la preparazione e io ho risposto: no, non ve la racconto perché ci vorrebbe troppo tempo. La pasta al pesto è un nettare divino, che se è fatto male non è buono ma se è fatto bene è veramente il massimo della vita. Il pesto è una cosa che bisogna conoscere, amare. Per spiegare a qualcuno come farlo bisognerebbe partire da come nasce il seme del basilico in terra ligure, ma io non ho tutto questo tempo, devo andare a ricevere una stella».