Il Fatto, 8 marzo 2023
Chi sono e come vivono i poeti
Alfonso Gatto pare attendesse con trepidazione i rendiconti sui diritti d’autore, ma gli assegni erano tuttavia tanto irrisori che rinunciava a riscuoterli. Milo De Angelis, in pensione dopo anni di insegnamento nel carcere di Opera, sostiene che “non può esistere rapporto tra il denaro e la poesia. Fare un lavoro serio sulla parola significa rinunciare a ogni lusso. Sarebbe un po’ grottesca l’immagine del poeta che gira in Lamborghini”. Coloro che hanno tentato di sbarcare il lunario solo con i propri versi sono sprofondati nella miseria. Come Sandro Penna, che accettava collette in suo favore e che si sfamava grazie alle minestre dei vicini di casa. Tra i tanti a beneficiare del vitalizio della legge Bacchelli: Alda Merini, sommersa dalle bollette scadute nella sua casa di ringhiera sui Navigli e Valentino Zeichen, costretto a vivere in una baracca senza riscaldamento sulla Flaminia.
E oggi? Giuseppe Nibali, classe 1991, scrive “nel tempo perso dei fine settimana, dei ponti, delle vacanze estive”. Insegnante e giornalista, sa quanto sia propizio avere un mestiere in mano “perché ti ancora alla società che racconti”. Attilio Bertolucci insegnava Storia dell’arte, Giorgio Caproni faceva il maestro elementare, Andrea Zanzotto era professore alle medie, Vittorio Sereni fu direttore editoriale di Mondadori, Carlo Betocchi e Salvatore Quasimodo entrambi geometri. “La poesia è un secondo lavoro” ribadisce il 37enne Julian Zhara, un passato di operaio e cameriere. “Con la poesia non puoi certo pagarti un affitto. Con le royalties forse puoi mangiare una pizza ma non certo concedertene una seconda”. Lorenzo Allegrini, manager quarantenne in una società di assicurazioni, vende le presentazioni itineranti dei suoi versi come performance e strappa oltre a vitto e alloggio gettoni che variano da 50 a 100 euro.
Eccetto i classici, il mercato editoriale della poesia registra numeri impietosi. Un libro fortunato per un piccolo editore oscilla tra le 150 e le 300 copie. Raramente un libro di un medio editore supera le mille. Le eccezioni non mancano. Un autore di successo è oggi Franco Arminio. “Io vivo di poesia” afferma, “ho lasciato il mio lavoro di maestro elementare e oggi grazie ai tanti incontri in giro per l’Italia ricevo compensi come se fossi un attore”. I fenomeni da classifica, in virtù di masse di follower sui social, rispondono ai nomi di Francesco Sole, Gio Evan, Guido Catalano. Nulla a che vedere con la poesia “pura” ma, saltate le gerarchie valoriali, si aggirano da “performer” e “usurpatori” sugli scaffali e nei teatri, come il britannico Kae Tempest, una quasi rock star. Anche la trentenne Rupi Kaur è passata da Instagram alla libreria. La canadese di origini indiane con i suoi tre libri di versi tradotti in 25 lingue ha collezionato la cifra record di dieci milioni di copie. Altrettanto fortunata la parabola di Amanda Gorman, la 24enne poetessa afroamericana divenuta celebre alla cerimonia di insediamento del presidente Usa Biden. Ora è rappresentata da un’agenzia di modelle.
Oltreoceano non c’è evento pubblico che non formalizzi il cachet riservato ai poeti. Per di più ci sono premi che mettono in palio anche oltre 50 mila dollari. Da noi il più ricco è il Carducci che vale 3.500 euro. “Tra il 2018 e il 2019 grazie ai premi vinti ho accumulato circa diecimila euro” confessa Giovanna Cristina Vivinetto, classe 1994. “Per vivere insegno”, aggiunge, “le royalties restituiscono solo spiccioli perché maturano appena un 5 per cento sul prezzo di copertina”. Gli fa eco Giorgio Ghiotti, che richiama Amelia Rosselli: “La poesia non la regaliamo affatto, se mai la vendiamo agli editori”. Il 29enne romano, titolare di un corso di poesia alla Holden di Torino, non ha mai visto un anticipo “ma almeno le royalties mi sono sempre state corrisposte”.
Valerio Magrelli denuncia un riflesso condizionato: “Il libro di poesia va donato, il romanzo acquistato”. Ergo, “le royalties non so cosa siano. I contratti editoriali sono irrisori, non più di un migliaio di euro di anticipo”. Magrelli è professore universitario e Vivian Lamarque invidia “i poeti professori universitari”. Sì, perché lei che ha insegnato in scuole superiori private oggi ha una pensione di poco più di 600 euro. “Arrotondo con traduzioni, letture su e giù per l’Italia, collaborazioni a giornali. Oggi le tariffe si sono dimezzate. Del resto i poeti sono il mondo e non si è forse impoverito il mondo?”.
Maria Grazia Calandrone, sulla scorta dei suoi lavori teatrali e radiofonici, reclama che si “torni a rispettare economicamente il poeta perché tiene viva la lingua per l’intera collettività. Ci sono editori che a torto ritengono di praticare una forma di mecenatismo”.
Renzo Paris, che ha insegnato per quarant’anni Letteratura francese, spinge sul pedale del disincanto: “Ho conosciuto poeti che hanno speso per farsi tradurre in svedese e ambire al premio Nobel, altri che hanno pianto per avere il sussidio della legge Bacchelli. Per non parlare dei cacciatori seriali dei premi. Una vita grama. La poesia non viene letta nemmeno dai poeti”.