La Stampa, 8 marzo 2023
Tutti pazzi per i psicofarmaci
Luoxetina, sertralina, citalopram, scitalopram, fluvoxamina e paroxetina: sono i nomi impronunciabili ma entrati a far pare della quotidianità di circa 17 milioni di italiani. L’utilizzo di psicofarmaci nel nostro Paese è infatti in costante aumento. In particolare il consumo di antidepressivi è cresciuto ininterrottamente da almeno sette anni di un buon 10%. Oramai circa il 7% della popolazione assume questo tipo di medicinali, con picchi di oltre il 10% in Liguria e Toscana, mentre se ne fa meno uso nel meridione, dove pure l’esposizione alla depressione è più alta. Di pillole per combatterla ne consumiamo comunque tante, 44,6 al giorno ogni mille abitanti contro le 39 del 2014. Poi ci sono gli antipsicotici per schizofrenia, disturbi deliranti, disturbi dell’umore come quello bipolare, il cui consumo è aumentato dal 2014 al 2021 del 20%, con 10 dosi giornaliere per 1000 abitanti nel 2021. Di ansiolitici, che rientrano nella categoria dei farmaci sedativo-ipnotici e ansiolitici, ogni santo giorno ne mandiamo giù invece 54 dosi per 1000 abitanti, contro le 40 del 2014. Le benzodiazepine in particolare, sono con i contraccettivi e le pillole utilizzate nella disfunzione erettile, le categorie a maggiore spesa fra i farmaci a pagamento.Ne prendiamo tanti e li prendiamo male. Secondo un’indagine dell’Aifa il 40% di chi usa gli antidepressivi non è aderente alla terapia. Ossia la interrompe per poi riprenderla, oppure la finisce prima del tempo. Magari senza scalare progressivamente il farmaco come è invece necessario per evitare il cosiddetto “effetto rebound”, quello che ha messo fuori uso per un po’ di giorni Fedez. Anche se «sintomi come ansia, irritabilità, insonnia e vertigini possono verificarsi anche quando non vengono assunti regolarmente» spiega il farmacologo dell’Istituto “Mario Negri” di Milano, Luca Pasina. Il rebus da sciogliere resta però quello di sempre, ossia se questo alto consumo di psicofarmaci sia giustificato oppure no. A giudicare da come li esibiscono sui social gli influencer qualche dubbio viene. Oramai è infatti diventata una moda esporre in rete il proprio armadietto farmaceutico anti ansia o depressione, finendo per consigliare cosa prendere e cosa no o per dare i voti a questo e quel medicinale su TikTok. Non ci deve poi stupire se gli psicofarmaci stanno dilagando anche tra gli adolescenti che li usano per sballarsi già a 13-14 anni. Secondo le ultime stime un teenager su dieci ne fa uso «a scopo ricreativo», un fenomeno in crescita del 20% negli ultimi 5 anni, secondo uno studio del Cnr. Anche perché reperirli è sempre più facile. Sempre lo stesso studio certifica che per il 42% dei casi basta allungare una mano nell’armadietto di casa, il 28% li acquista senza difficoltà su internet e un altro 22% se li procura in strada, dove vengono spacciati al pari di una droga. Un consumo spinto anche dalla poca autostima dei nostri ragazzi. «Questi psicofarmaci – afferma Matteo Balestrieri, ordinario di Psichiatria all’Università di Udine- rappresentano per molti un’ancora di rassicurazione per aumentare le performance scolastiche e i livelli di attenzione, per migliorare l’aspetto fisico quando combinati a farmaci dietetici, per potenziare i livelli di autostima, per sentirsi in forma, migliorando sonno e umore, e molti giovani sono dunque spinti ad assumerli sfuggendo al controllo in famiglia». Detto questo, prosegue Claudio Mencacci, direttore emerito di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, «gli psicofarmaci, insieme ad un percorso terapeutico a 360 gradi, sono fondamentali per curare le malattie mentali sia nei giovani che nei meno giovani e non bisogna averne paura. Molte patologie curate per tempo nei ragazzi garantiscono loro un futuro. Se invece queste cure vengono usate con modalità e intenzioni diverse non aiutano e possono avere ripercussioni negative». Insomma, abusi a parte, l’iper consumo di psicofarmaci nasconde anche un malessere psichico sempre più diffuso tra gli italiani. Un altro studio condotto sempre dal Cnr, in collaborazione con l’Aifa, ha rilevato che quasi la metà della popolazione qualche problemino con il proprio equilibrio psichico ce l’ha. Il 21% di chi ha tra 15 e 74 anni risulta avere una depressione moderata o severa, il 19% soffre di ansia e il 12% di stress. Livelli che risultano più alti tra le donne, che in due milioni consumano antidepressivi. Ma le differenze non sono solo di genere. «Le disuguaglianze socioeconomiche nella depressione sono ben documentate e il rischio di sviluppare la patologia è associato a stati di povertà e disoccupazione», si legge nell’Atlante delle diseguaglianze sociali nell’uso degli psicofarmci messo a punto dall’Aifa. L’Istat a sua volta sottolinea come l’incidenza della depressione raddoppi tra gli adulti con un basso livello di istruzione e non occupati. Inoltre portare avanti la terapia sembra essere più difficile per gli strati sociali più poveri. Nonostante la maggiore esposizione alla depressione, la popolazione più svantaggiata è infatti anche quella meno propensa a utilizzare medicinali, forse per una minore accettazione del disturbo. Ma anche per ragioni economiche, perché è in crescita la spesa privata per psicofarmaci non mutuabili. Un altro fattore che contribuisce a rendere sempre più classista il disturbo psichico e i farmaci per curarlo. —