Corriere della Sera, 8 marzo 2023
Dentro la notizia. Panerai racconta i retroscena dell’editoria italiana
La stanza d’angolo al piano nobile del palazzo del Corriere della Sera in via Solferino, in fondo all’ala ancor oggi riservata all’editore, era stata decorata di velluto verde per volere di Angelo Rizzoli, detto Angelone. Era quello il colore della casa editrice del primo quotidiano italiano e quello il colore dell’inchiostro della stilografica con la quale scriveva suo nonno Angelo (il marchio divenne blu una ventina d’anni fa, con la nascita di Rcs Mediagroup).
La saletta del velluto verde è la cornice di alcune tra le vicende più intriganti del racconto di Paolo Panerai sugli ultimi cinquant’anni di storia dei giornali e sulla battaglia per il controllo dei grandi quotidiani. Nel libro in uscita venerdì 10 marzo per Solferino «Le mani sull’informazione, i retroscena dell’editoria italiana» (199 pagine, 17 euro) il giornalista ed editore professionale – fondatore di Class Editori – si chiede prima di tutto che ne sarà della democrazia sotto i colpi dell’avanzata sregolata dei giganti digitali, i cosiddetti «Over the top» (ott), nelle cui mani oggi è concentrato un potere enorme, che assomma il controllo dei dati, alla capacità di influenzare larghe fasce di popolazione mondiale, ai più vasti interessi commerciali e di business.
Per tacere del vantaggio finanziario che deriva loro dall’aver sfuggito in tutto o in parte le tassazioni dei singoli Paesi in cui operano. Google, Facebook e Amazon, per Panerai sono gli editori «più impuri» che si possano immaginare. Mentre l’informazione che offrono è gratuita perché, come ci ha ricordato il documentario «The social dilemma», il prodotto in vendita siamo noi.
Big Tech
L’autore si chiede che ne sarà della democrazia con l’avanzata sregolata dei giganti digitali
Ma prima ancora di entrare nella questione della pressione esercita da Big Tech e degli strumenti di cui pure ancora disponiamo per mettere in sicurezza informazione e democrazia, il fondatore di Capital e già direttore de Il Mondo, ripercorre le alterne vicende dei più importanti quotidiani italiani e dei troppi intrecci tra imprenditoria, grande finanza, politica fino alla scalata di Urbano Cairo al Corriere e al ritorno del primo gruppo italiano nelle mani di un editore professionale. Panerai ricorda tra le altre cose la celebre uscita fuori dal coro di Umberto Agnelli, fratello dell’Avvocato che fece dell’editoria e del giornalismo uno dei suoi principali interessi, quando affermò che gli industriali non dovrebbero possedere i giornali «e anche noi dovremmo vendere La Stampa».
Il racconto del giornalista-editore, con una frequentazione di lungo corso con tanti dei protagonisti del libro, è ricco e circostanziato, preciso nei nomi, cognomi, soprannomi, episodi, luoghi, stanze, salotti buoni e meno buoni, banchieri, cordate nobili, piduisti, resoconti di riunioni dei consigli di amministrazione e delle incursioni degli uomini della politica, documenti originali e inediti, carattere e tic dei personaggi. Con le sole eccezioni di Giulia Maria Crespi, editore del Corriere prima di Rizzoli, e dell’americana Katharine Graham (sotto la sua proprietà il Washington Post fece cadere Nixon con il Watergate).
Salotti buoni
Nel saggio un racconto preciso su soprannomi, nomi, episodi, stanze e salotti più o meno buoni
Oggi il quotidiano della capitale Usa è nelle mani di Jeff Bezos (cioè di Amazon). Panerai racconta una storia tutta al maschile affidando, tuttavia, il finale ancora aperto a due donne e al loro contributo decisivo nel contrasto allo strapotere di Big Tech nell’informazione e alla salvaguardia della democrazia: Margrethe Vestager, la vicepresidente dell’Unione europea e capo dell’Antitrust, e Lina Khan («la buona novella», scrive l’autore) chiamata da Joe Biden a capo della Federal Trade Commission.