il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2023
Cris-anti
Più leggiamo le chat raccolte dai pm di Bergamo sulla gestione del Covid nel 2020, più capiamo perché il procuratore Chiappani è il primo a dubitare della sua indagine. Almeno della parte fondata non su precise condotte illecite (violazione dei protocolli sanitari al pronto soccorso di Alzano, contagi nascosti dalla Regione Lombardia, mancato aggiornamento del piano pandemico), ma sul senno di poi: cioè sulla pretesa di decidere oggi, alla luce delle conoscenze attuali, cos’era stato meglio fare allora. L’impreparazione, le contraddizioni, le esitazioni, le paure di politici, dirigenti e tecnici, con gli occhi di oggi, suscitano scandalo: con gli occhi di allora sono fisiologiche, perché identiche a quelle dei più insigni virologi ed epidemiologi del mondo, tutti all’oscuro di cosa fosse il Covid e dove ci avrebbe portato. È questo il peccato originale della consulenza tecnica di Andrea Crisanti, microbiologo di vaglia (altro che “zanzarologo”): non quello che scrive sui 4.148 morti (non uno di più né di meno) che avremmo risparmiato con la zona rossa in Val Seriana; ma il fatto che i pm gli abbiano chiesto di calcolarli. Libero ha scovato cosa diceva Crisanti mentre i politici e i tecnici commettevano tutti i presunti reati contestati dai pm in base alla sua consulenza. E ha trovato dichiarazioni che oggi non ripeterebbe più, ma che tre anni fa rilasciò in scienza e coscienza (di allora).
Il 29 febbraio 2020, cioè quando (dice oggi) si sarebbe dovuta chiudere la Val Seriana, il prof dichiarava: “Non c’è un elemento di pericolosità drammatica… tutta questa gente con le mascherine… le mascherine hanno un’efficacia estremamente limitata… Consigli? Io a Padova mi sento tranquillo, vado al ristorante, giro per strada… Chiaramente evito grossi assembramenti, ma so che a Padova non ci sono casi, altrimenti lo diremmo… Il focolaio è limitato… Non sconsiglio di andare al ristorante o a fare shopping. Attività normali”. Una settimana più tardi Conte chiudeva quasi tutto il Nord Italia e subito dopo il Paese intero. E il 20 aprile i tamponi disposti da Zaia su input di Crisanti a Vo’ Euganeo svelarono che la maggior parte delle infezioni risalivano a prima del 20 febbraio, cioè delle prime zone rosse di Codogno e Vo’: il virus girava almeno dal dicembre 2019, in Veneto e in gran parte dell’Italia, in forme perlopiù asintomatiche. L’idea di isolare il virus cinturando piccole aree si rivelò ben presto ingenua e illusoria: se il Covid era ovunque, non restava che il lockdown nazionale. Oggi nessuno ha il diritto di impiccare Crisanti a ciò che diceva allora. Ma è quello che al processo di Bergamo faranno gli avvocati difensori per smontare la sua consulenza. Che non è sbagliata per le risposte, ma per la domanda.