il Giornale, 7 marzo 2023
Il bestiario selvatico di Zamboni
Oltre a essere un nome storico della musica italiana, Massimo Zamboni, chitarrista e compositore nei CCCP e nei CSI, è anche scrittore. Dopo una decina di libri, ora è la volta del suo Bestiario selvatico (da oggi in libreria per La nave di Teseo, pagg. 180, euro 18): come spiega il sottotitolo si tratta di «Appunti sui ritorni e sugli intrusi», animali riapparsi dopo decenni o complete novità per la fauna italiana. Il tutto con le illustrazioni di Stefano Schiaparelli, docente universitario espertissimo del punteruolo rosso della palma (ne pubblichiamo due in questa pagina: la Magallana augulata, ovvero l’ostrica portoghese, e la Trachemys scripta, la testuggine americana). Nato a Reggio Emilia 66 anni fa, oggi Zamboni vive sull’Appennino, in un paesino a 600 metri di altitudine. È lì che fa questi incontri inusuali con gli animali? «Se ne vedono un po’, anche se è difficile: ci vuole il silenzio, bisogna conoscere gli orari... Però ne transita qualcuno, anche inaspettato: per esempio è passato sulla nostra testa un ibis eremita e credo sia la prima volta da secoli, qui». Come ha fatto a riconoscerlo? «L’avevo già visto durante un’altra migrazione e volava molto basso. Comunque vedere questi animali è un lampo, come coi lupi: a volte li intercetti, ma per un secondo...» Ci sono i lupi nel Bestiario. «Ci sono anche qui, e tanti, anche se non si vedono. Quindici anni fa, quando ancora non si sospettava del loro ritorno, mi hanno ucciso tutte le pecore. L’altra notte ho dovuto camminare per un chilometro, al buio e nella neve, e la parola lupo mi girava nella testa... Oggi non siamo preparati a percepirci come preda di un carnivoro». Chi è l’intruso? «Noi pensiamo siano gli animali, ma a volte gli intrusi siamo noi, che ci siamo infilati in territori non nostri». Come è nato il Bestiario? «L’idea era di dare un filo logico a una serie di osservazioni, ravvicinate e inaspettate. Anche se ho sempre osservato gli animali, fin da piccolo: è una delle mie passioni represse, avrei potuto fare il naturalista o lo zoologo». Il filo logico qual è? «Capita di fare incontri con animali non previsti, ma è difficile mettere insieme un quadro complessivo, ovvero immaginare come questi animali, che sono arrivati a centinaia, abbiano cambiato il mondo naturale e antropico, con la loro invasione. È un invito a guardare al mondo che ci circonda». Con quale sguardo? «Di solito gli uomini guardano gli animali da un punto di vista utilitaristico: se sono commestibili o no, se sono dannosi o no. Qui cerco di proporre un altro sguardo, quello della bellezza e della parità con le altre creature: un buon esempio di umiltà e di convivenza». Sono questi animali a essere un po’ anticonformisti o è lo sguardo di chi li osserva a renderli tali? «Beh, gli animali valicano confini, scavalcano frontiere, guadano fiumi, eludono controlli doganali: sono liberi di praticare il mondo e, secondo le nostre misure, sono decisamente anticonformisti». Come la «rana toro»? «Una mortadella con le gambe... Fa dei balzi spaventosi, ed è anche piuttosto riservata, difficile da vedere. Si esibisce nel periodo degli amplessi amorosi: un ammasso di carne che emerge dall’acqua. Già questa dimensione ti conduce altrove, sembra uscita da un quadro di Ligabue, è un’esagerazione». Dove si trova? «I primi nuclei sono arrivati nella Bassa Mantovana, al confine con Reggio Emilia: oggi sono ingovernabili, fra paludi, canneti e acquitrini». Che luoghi sono quelli del Bestiario? «Luoghi marginali, piccole periferie, canali, letti di fiumi, margini incolti. Lo sciacallo abita la boscaglia intorno ai letti dei fiumi, ma di notte esce e gira, anche per le periferie degli abitati». Si muove fra l’«impressionante rumore di fondo della pianura»? «Ti trovi a camminare di notte nei campi della pianura e senti che l’ambiente sonoro non è naturale: è quasi radioattivo, per il rumore. E, in mezzo a case e balle, ci sono questi sciacalli, in cerca di carcasse e rifiuti. Però è raro vederli, serve un richiamo». I gamberi della Louisiana invece... «Sono dappertutto. Incontenibili. Però sono aumentati di conseguenza anche i loro nemici naturali: aironi, cicogne, ibis, sciacalli, volpi. Il gambero della Louisiana è un americano da stereotipo, baldanzoso come Paul Newman nello Spaccone. Non ha paura, e questa è la sua condanna. Lo peschi in qualsiasi canale o torrente della pianura, basta attaccare un pezzo di fegato a una lenza». Pare non siano buonissimi. «Ci sono molte teorie. Diciamo che chi ha buoni anticorpi, come certi anziani, può permettersi di mangiarli come noccioline». Gli animali di cui parla non sono molto ambiti dai gourmet. «Sì, questo è un gradino da superare. Il granchio blu, per esempio, ha invaso le acque italiane, è molto buono e piuttosto grande: pescarlo e servirlo al ristorante può essere un modo per contenerne la diffusione. Lo stesso vale per la nutria, che in Francia si mangia comunemente...» Il suo incontro preferito? «Il castoro sui monti di Tarvisio, per affezione: mi rimanda subito a un’immagine di ragazzino, quando vagavi per i boschi sognando di essere un cacciatore, o un uomo della foresta. È solo, come la tartaruga della Florida buttata in un laghetto di acqua dolce, perché nessuno, finora, ha avuto il coraggio di seguirlo; ma questo capita anche ai pionieri fra gli uomini... Però tengo a tutti questi animali, perché dipende sempre da come te li raccontano: l’entomologa di Reggio Emilia che parla della cimice asiatica la fa sembrare un peluche». Se questi animali fossero una band? «Farebbero un bel concerto, perché sono molto diversi fra loro. Ci sono quelli che vivono in sordina, nascosti, più leggeri; quelli schiamazzanti, come il gabbiano comune, molto anni Sessanta, molto beat; e quelli punkettoni, come l’ibis eremita, che è il prototipo del chitarrista punk». Come lei? «Più lui di me. Poi ci sono quelli austeri, come i grifoni in volo... Volteggiano su questo accordo di bordone continuo, molto drammatico; poi quando scendono a terra sono sguaiati ma, in aria, danno questa idea di un destino ineluttabile che ti sorveglia dall’alto, un po’ da gruppo tedesco, tipo gli Einstürzende Neubauten». È vero che ha venduto una chitarra per comprare un cannocchiale? «È vero. Era una chitarra bella, da liscio, in madreperla rossa, degli anni ’60. L’ho data a un amico musicista e mi sono comprato un cannocchiale e una guida di birdwatching, e credo di aver fatto un buon affare». Tornerà alla musica ora? «Di solito libri e musica vanno di pari passo, cerco di dare un contentino all’una e all’altra passione: per ora sto lavorando in parallelo, su un disco e un libro, vediamo chi vincerà. Però io farei subito un altro libro con altri trenta animali. Dopo La trionferà, sul comunismo in Italia, mi serviva qualcosa per compensare». Qualcosa di più leggero? «Sì. Anche se quello che emerge è l’estinzione a cui è destinato il genere umano: siamo sovrastati dalla capacità animale di conquistare il mondo. Non c’è nulla da fare per noi».