La Stampa, 7 marzo 2023
Verso la riforma del Patto di stabilità
Si avvicina la riforma del Patto di Stabilità e Crescita. I governi dei 27 Stati Ue hanno trovato un’intesa di massima sullo schema proposto dalla Commissione, che prevede percorsi di aggiustamento del debito specifici per ogni Paese, definiti su base pluriennale e con la possibilità di ottenere flessibilità in cambio di riforme e investimenti. È in sostanza l’applicazione del “modello Recovery” alle regole Ue di finanza pubblica. L’accordo sarà formalizzato martedì prossimo dai ministri delle Finanze all’Ecofin, ma – secondo quanto risulta a La Stampa – il testo di conclusioni ha già ottenuto il via libera da parte di tutti i componenti del Comitato economico e finanziario, l’organo che riunisce i direttori generali dei ministeri e che ha il compito di preparare le riunioni dei ministri.Per la Commissione europea si tratta di un’ottima notizia: l’intesa le consentirà di tradurre in termini giuridici i princìpi concordati dai ministri, con l’obiettivo di arrivare a un’approvazione definitiva entro la fine dell’anno, quando scadrà l’applicazione della clausola di salvaguardia che sospende il Patto. Con ogni probabilità la proposta legislativa vera e propria arriverà tra l’ultima settimana di marzo e l’inizio di aprile, subito dopo il Consiglio europeo. Ma l’accordo tra i ministri renderà molto più semplice anche la discussione tra i leader, che verosimilmente si limiteranno a dare la loro benedizione all’intesa anziché doverla negoziare.Il documento che verrà approvato dai ministri – spiegano autorevoli fonti Ue – ribadirà che ovviamente i parametri del 3% (deficit) e 60% (debito) non cambieranno: per farlo serve una modifica dei Trattati. Ma ciò che cambierà sarà il percorso che gli Stati dovranno seguire per raggiungere tali obiettivi: decisamente meno ripido. Le regole attuali prevedono target di riduzione del deficit e del debito “standard”, definiti a livello Ue e imposti ai singoli Paesi su base annuale, mentre l’idea della Commissione – che tutti i governi ora sostengono – è di passare a un sistema in cui sono i singoli Stati a presentare piani con percorsi di rientro spalmati su più anni (quattro nelle intenzioni di Bruxelles): è il principio della “ownership” nazionale, la titolarità dell’iniziativa nelle mani dei Paesi. «In sostanza il contrario del commissariamento», aveva detto a novembre Paolo Gentiloni, presentando la proposta. Non solo: i percorsi di aggiustamento non saranno più definiti sulla base del contestato deficit strutturale (il disavanzo calcolato al netto del ciclo economico e delle misure una tantum), ma sul parametro della spesa primaria netta, considerato molto più “osservabile”. I piani dovranno essere valutati dalla Commissione e poi approvati dal Consiglio, esattamente come succede per il Pnrr.La Germania, sostenuta da altri Paesi del Nord, ha insisto sulla necessità di fissare parametri comuni per evitare disparità di trattamento. Ha ottenuto che i piani nazionali dovranno essere «coerenti» con una traiettoria di bilancio stabilita dalla Commissione. Secondo i ministri, queste “disposizioni di salvaguardia comune” serviranno a far sì che il percorso di riduzione del debito sia «sufficiente» per assicurarne la sostenibilità. Loro stessi, però, riconoscono che per definirne con esattezza i contorni sono necessari ulteriori “chiarimenti": questo potrebbe essere l’aspetto più spinoso nei prossimi mesi. Ma a Bruxelles c’è ottimismo perché tutti i governi hanno di fatto accettato l’impianto della riforma.E hanno accettato anche l’idea di introdurre più flessibilità, vale a dire più tempo (fino a sette anni, anziché quattro) per completare il percorso di aggiustamento, in cambio di riforme e investimenti. Questi ultimi dovranno essere in linea con le priorità Ue: transizione ecologica e digitale, ma nel computo rientreranno anche le spese per la Difesa. I governi hanno voluto introdurre una novità molto importante: i singoli piani potranno essere modificati in corso d’opera per esempio in caso di cambio di governo. Un meccanismo che certamente complicherà il lavoro della Commissione.Via libera dell’Ecofin anche alla doppia clausola di salvaguardia: una generale, per sospendere le regole in caso di grave crisi nell’intera Ue, ma anche una specifica. Consentirà ai Paesi colpiti da “circostanze eccezionali”, indipendenti dalla volontà dei rispettivi governi, di deviare temporaneamente dai percorsi di aggiustamento. Una valvola di sfogo che certamente va incontro alle richieste dei Paesi come l’Italia, sin dall’inizio favorevole all’impostazione proposta dalla Commissione.Resta, in caso di violazione dei patti, la procedura per disavanzo eccessivo. Sia per i Paesi che sfonderanno il tetto del 3% del deficit, sia per quelli con un livello di debito superiore al 60% del Pil che non rispetteranno il percorso di aggiustamento. L’idea, però, è di ridurre significativamente l’importo delle sanzioni finanziarie: quelle attualmente previste (pari allo 0,2% del Pil) sono considerate troppo alte, motivo per cui non sono mai state inflitte. Ma in molti a Bruxelles sono convinti che il vero incentivo al rispetto dei percorsi di aggiustamento arriverà dalla Bce: come stabilito da Francoforte, chi sforerà non potrà essere coperto dallo scudo anti-spread.