il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2023
Gattopardo, i “no” di Vittorini e gli altri
Estratto dal nuovo libro di Francesco Piccolo, La Bella confusione (Einaudi)
Tomasi, in una lettera, spiega quello che gli capitò nell’estate del 1954: “Da un paio di anni in questi miei tre cugini si è svegliata una violenta attività artistica; il terzo ha fatto stampare un volumetto di versi; ne ha inviato una copia al terribile Eugenio Montale e, a giro di posta, ha ricevuto una lettera che lo proclama un genio, ha ricevuto un premio letterario a S. Pellegrino, e le sue poesie saranno pubblicate il mese prossimo da Mondadori con prefazione di Montale; intervista sui giornali, fotografia nell’Epoca (luglio ’54); un’iradiddio. Benché io voglia molto bene a questi cugini debbo confessare che mi sono sentito pungere sul vivo: avevo la certezza matematica di non essere più fesso di loro. Cosicché mi son seduto a tavolino ed ho scritto un romanzo”. Secondo sua moglie Licy, Tomasi covava da almeno venti anni una storia del suo bisnonno Giulio vissuto ai tempi di Garibaldi (…). Eppure il romanzo ha fin da subito una storia tormentata: lo fa leggere a Licy, che ne è entusiasta; ma quando lo fa leggere ai suoi amici, nessuno di loro comunica entusiasmo. In ogni caso, decide di spedire il romanzo alla Mondadori, con l’intermediazione di Lucio Piccolo. La risposta è negativa ma interlocutoria: c’è la raccomandazione di rimetterci mano e di far rileggere. Questa è l’indicazione che dà Elio Vittorini, ma non è certo che abbia letto personalmente i quattro capitoli spediti da Tomasi. (…) Nel dicembre del ’56, poi, la Mondadori comunica il rifiuto definitivo. Proprio in quel periodo, Tomasi si ammala di cancro ai polmoni. Intanto continua a proporre il manoscritto in giro, e lo manda alla casa editrice Einaudi. Alla fine di maggio scrive una lettera con le ultime volontà in cui dice che i funerali devono essere più semplici possibile e a un’ora scomoda, in modo che non venga nessuno; e poi rispetto al Gattopardo scrive: “Desidero si faccia il possibile affinché venga pubblicato. Beninteso ciò non significa che esso debba essere pubblicato a spese dei miei eredi, considererei ciò come una grande umiliazione”. (…) Nel verbale della riunione del mercoledì dell’Einaudi qualcuno dice: si può anche fare, ma non sarà mai una bomba. Poi in un secondo tempo viene di nuovo esaminato da Vittorini per i Gettoni, ma questa volta Vittorini, dopo averlo senz’altro letto, decide che non c’entra niente con la sua collana (…). Tomasi riceve la lettera di rifiuto un pomeriggio; la sera a cena sulla veranda legge alla moglie e ai presenti la lettera per intero, in cui si dice che Einaudi ha deciso di non pubblicare il romanzo pur trovandovi pagine belle, perché non pensano che una storia così antiquata possa trovare mercato. Come recensione non è male, dice. Quattro giorni dopo Tomasi di Lampedusa muore. Investita delle ultime volontà del marito, e della convinzione sulla qualità del romanzo, Licy lo mandò a Elena Croce, figlia di Benedetto, tramite un amico comune, l’ingegner Giargia. Qui ci sono testimonianze divergenti, ma provo a raccontare quella più diffusa: la Croce non lo lesse e se ne dimenticò. Quando venne sollecitata più volte da Giargia, Elena Croce confessò di non averlo letto, e che non sapeva più dove fosse. E poi, un giorno, per caso, il manoscritto fu ritrovato dalla cameriera nel guardaroba della sua cameretta (…). A quel punto Elena Croce decise di dare il romanzo a Marguerite Caetani, affinché lo proponesse per la rivista Botteghe Oscure. In questa rivista lavorava, come redattore Giorgio Bassani. (…) A quel punto Bassani va a prendere in portineria della sede romana del Partito Repubblicano il manoscritto che la Caetani ha lasciato lì per lui. Bassani, molti anni dopo, dirà che già lì, nella guardiola del portiere, aveva letto la prima pagina e gli era bastato per sentire la musica che lo faceva sperare di trovarsi davanti a qualcosa di importante. Bassani torna a casa e comincia a leggerlo, legge un terzo del libro senza mai smettere e poi a mezzanotte va al telefono, compone un numero, e dall’altra parte risponde Mario Soldati. Bassani gli dice: devi venire subito qua perché sto leggendo un libro incredibile. Soldati si precipita a casa di Bassani e si mettono, in piena notte, a leggerlo fino alla fine. E decidono che è un capolavoro. Ma non sanno di chi. Perché il dattiloscritto non porta la firma di nessuno. Allora Bassani risale a chi glielo ha mandato, e quindi a Elena Croce. Pare che lei abbia risposto: credo sia di una vecchia signorina dell’aristocrazia palermitana. Questa risposta la conosciamo perché Bassani l’ha riportata nella sua presentazione del libro; la Croce si arrabbierà molto perché sosterrà di non averla mai pronunciata. (…) Comunque Elena Croce dà a Bassani il numero dell’ingegner Giargia. A quel punto Bassani chiama Giargia e scopre che l’autore del romanzo è quel signore che aveva visto anni prima a San Pellegrino Terme accompagnare suo cugino, il poeta Lucio Piccolo. (…) Bassani capí anche che non era il caso di pubblicare un romanzo così bello su Botteghe Oscure. Ma essendo il consulente della collana narrativa di Feltrinelli, lo fece leggere a Giangiacomo. E pare che Giangiacomo non fosse stato così entusiasta (…). Ma Bassani fu insistente. Allora, davanti a tanta convinzione, Giangiacomo decise di accettare la sfida che né Einaudi, né Mondadori avevano accettato. (…) Dopodiché arriva a Licy la telefonata di Bassani, che chiacchierando insinua che a quella versione del Gattopardo sembra mancare qualcosa. E in effetti Licy dice che la versione che lui ha letto è in sei parti e non in otto. Bassani le dice: il romanzo non si può dire che non si chiude bene, però c’è qualcosa di poco convincente nella parte finale. E qui c’è la risposta di Licy che Bassani ha riportato: le piacerebbe un ballo? Perché nelle parti non consegnate c’era un capitolo in cui c’era una festa da ballo. Il ballo del Gattopardo.
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