La Stampa, 6 marzo 2023
Gino Paoli, che non fuma quasi più vuole fondare il partito dei tabagisti: «E visto che in Italia ci sono 12 milioni di fumatori vincerei anche bene»
Per molto tempo, Gino Paoli è stato del tutto simile a certi personaggi da film noir, sguardo deciso, sigaretta sempre accesa. Trasgressione o passione, non è mai stato chiaro a quale sentimento si rivolgesse. Di fatto, ogni tanto si allontanava, o spariva proprio, in occasioni pubbliche, per andare a fumare. Tornava e rispariva. Un moto perpetuo. Come le sue canzoni e un’esistenza decisamente imprevedibile e avventurosa.
Paoli, che farà se passa il decreto legge sul fumo?
«Fonderò un partito e visto che in Italia ci sono 12 milioni di fumatori vincerei anche bene. Poi cercherei di evitare imposizioni sul dove e quando fumare. Le leggi scattano quando manca l’educazione. Un tempo, specie fra altre persone, si chiedeva il permesso: scusate, do fastidio? Se la risposta era no, mica ti mettevi a farti gli affari tuoi nella carrozza di un treno».
Ma il fumo fa male o no?
«Una volta ho rivolto la stessa domanda allo scrittore Andrea Camilleri, che se ne intendeva. Mi rispose: a novant’anni sono ancora vivo mentre miei amici morigerati non ci sono più. Mi confortò che la pensasse così...».
Non mi sembra un dato statistico…
«A 88 anni mi trovo nelle sue stesse condizioni. Gente che conoscevo e faceva una vita sana se n’è andata. Tragga le sue deduzioni».
La prima è che ha una tempra molto forte, la seconda è che ha pure una fortuna sfacciata…
«La terza è che lo Stato, tassando le sigarette, fa un bel po’ di soldi. Hanno pensato a quanti ne perderebbero?».
Non le sembra che venga prima la tutela della salute pubblica?
«Certo, non puoi decidere di farti del male. Lo Stato deve impedirlo. Quando mi sono sparato, ho scoperto che la mia fedina penale aveva qualche problema».
Allora dov’è il problema di questo eventuale decreto?
«Guardi che ci arrivo anch’io a dire che i divieti possono servire. Ad esempio se riescono a evitare che i giovani comincino a fumare, che di certo non fa bene. Però si fa da un tempo lontanissimo...».
Cos’è per lei la sigaretta?
«Un’abitudine, una dipendenza. Ma anche una specie di amico a cui chiedi di aiutarti. A un certo punto avevo smesso. Poi in un corridoio d’ospedale, dopo l’ictus di mio padre, ho ricominciato. Ero talmente depresso e l’unica cosa che mi è venuta è stata quella».
Si è mai chiesto perché sui pacchetti di sigarette c’è scritto: il fumo uccide?
«Perché è anche vero, no? Anzi, alla mia età devo ammettere che con quello che ho fumato ho avuto molto più che fortuna».
Continua o si è calmato?
«Non fumo quasi più, se non con la sigaretta elettronica».
Saranno vietate anche quelle, sempre nei dehors, parchi e mezzi pubblici. Che fa, non esce più di casa?
«Sa qual è la mia prima reazione? Fatevi i fatti vostri, ai miei ci penso io. Perché ho coscienza di quello che mi può capitare. Ma se non sai nulla, se fai le cose solo per vezzo, è giusto che ti proibiscano questo e quello. Un cretino rimane un cretino». —