la Repubblica, 6 marzo 2023
Intervista a Pier Francesco Favino
La conversazione con Pierfrancesco Favino parte da L’ultima notte di Amore, di Andrea Di Stefano (Escobar, The informer): «Sarebbe un peccato se le persone non si accorgessero che sta arrivando qualcosa di diverso, che non si vedeva da tanto tempo». Nel film in sala il 9 con Vision è un poliziotto che arrotonda con lavori extra e che durante l’ultima notte prima della pensione viene coinvolto in una drammatica missione. «È girato in pellicola, con un uso minimo di effetti digitali: ho guidato nel traffico reale notturno, corso tra le auto, sono stato vicino a esplosioni vere. La stampa internazionale, Screen e Variety, sottolineano che potrebbe avere riscontro nel mondo proprio perché è del tutto italiano. In film di questo tipo, di solito, vediamo in azione personaggi con altre divise e non abbiamo dubbi che ce la possano fare. Nel caso del mio personaggio, invece, non è scontato». Agli attori italiani a Hollywood offrivano solo ruoli stereotipati, ora neanche più quelli.«Infatti sono venuto via da lì per quello, non mi andava il cliché. Ora li fanno direttamente loro, non perché un sistema intero si rifiuti di farli ma perché abbiamo lasciato che ci fosse un atteggiamento di poca protezione rispetto al nostro prodotto. I Bafta, i premi assegnati in Gran Bretagna, vengono vinti da un film girato e interpretato da tedeschi (Niente di nuovo sul fronte occidentale, ndr). Perché? Il discorso è industriale, non è culturale ma banalmente legato alla protezione interna del prodotto. Se una major realizza in Francia, il protagonista è francese e parla in francese. Denzel Washington ha appena girato un film da noi, il ruolo di una italiana lo fa una cubana: perché? Abbiamo un’incisività sempre minore, tutti, nel cinema europeo». La Berlinale si è svolta all’insegna dell’impegno politico degli artisti, a partire da Sean Penn e il documentario sull’Ucraina.«Rispetto le posizioni di tutti, Penn è uno che rischia in prima persona. La mia idea è che dovrebbe sempre parlare il lavoro. Le mie posizioni politiche, etiche e morali le esprimo attraverso i film che scelgo. Ho appena finito di girare Comandantedi Edoardo De Angelis, sul comandante di un sottomarino che nel 1940 affonda una nave belga e porta in salvo i superstiti. Troppe dichiarazioni alla fine non significano nulla se non le fa chi davvero può cambiare il mondo». Questo thriller racconta di poliziotti corrotti.«Sono persone, alcune in divisa altre no, che intravedono la possibilità di fare un colpo. Non ci sono giudizi su una etnia o su un’arma, anche se vadetto che nei confronti di quel mondo noi abbiamo un senso di intoccabilità superiore rispetto ad altri paesi. Questo film vuole fare spettacolo, non sollevare questioni morali. Poi è vero che per i poliziotti, come per i professori, gli stipendi non siano adeguati. Ho parlato con ex poliziotti e ex carabinieri, molti hanno una doppia professione, non per forza illegale. Da ragazzino ho fatto il buttafuori, il servizio d’ordine ai concerti, la metà dei colleghi avevaun distintivo: come si fa a campare a Milano con 1.600 euro al mese e una famiglia?». Ha sempre rivendicato una provenienza estranea al mondo del cinema. Le sue figlie hanno già fatto qualche ruolo.«Questo mestiere è stato anche l’affrancamento dalla storia familiare. Il mio sogno era lo stesso dello spettatore, del mestiere non sapevo nulla. Le mie figlie sono nate e cresciute tra le quinte di un teatro osul set. Questo lavoro riesce solo se davvero ti appassiona, sono feroce sull’idea della raccomandazione e lo sarei anche con le mie figlie. Ma se capissi che quella è la loro forma di espressione, non le frustrerei per paura che possa andare male». Nella serie “Call my agent – Italia” scherza sull’ossessione per i ruoli, una passione da cui è quasi sopraffatto.«È così, è lo strumento con cui mi esprimo come non riesco in altrimodi. Non mi interessano premi, soldi, fama: voglio recitare, guardare la troupe o i tecnici a teatro, persone che perdono sonno pazienza e energia per un’inquadratura, che non è niente ma diventa tutto: in questo momento storico è poesia». Si scherza sul fatto che può interpretare tutti. L’etichetta del troppo bravo non è un ingombro?«Lo è. Mi fa piacere, ma dopo che ti hanno detto bravo, che c’è? Io vedo il margine di crescita, quello che non riesco ancora a fare. Passa per perfezionismo ma è solo passione. Vedo Cate Blanchett inTár, ha la mia età ed è a un livello che io non ho raggiunto. E vedo attori giovani con un approccio più nuovo rispetto al mio». Scene di sesso e come affrontarle.«Sul set hai 70 persone intorno, quelle scene sono un imbarazzo per tutti. Oggi ci sono film in cui il bacio è digitale perché un attore rivendica la privacy e in una scuola teatrale all’estero gli allievi rifiutano ruoli che non sentono vicini alla propria sensibilità. Gli attori un tempo non venivano sepolti in terra consacrata perché capaci di fare ciò che non si doveva. Va bene il rispetto dei diritti civili, ma il limite tra rispetto e censura si sta assottigliando. Prevedo una reazione opposta a questa paura del corpo che sembra medievale».Cos’è la solitudine?«Come buona parte della popolazione mondiale, dopo aver fatto colazione, letto le notizie sul telefono, scrollato Instagram, spento lo schermo, mi sento inadeguato».In che senso?«Il mondo ti propone modelli inarrivabili di benessere fisico, economico, estetico. Sembra che se non aderisci, sei escluso. A più di 50 anni ho gli strumenti per poter dire che mi vado bene stortignaccolo. Un ragazzo – si parla molto di ragazze, ma ci sono ragazzi in maggiore difficoltà – si sente schiacciato». Il pensiero che la tiene sveglio?«Stiamo costruendo un futuro per i nostri figli o ci facciamo portare e basta?».Cosa la fa dormire bene?«Le visioni sorprendenti delle nuove generazioni. L’immagine di mia figlia da sola verso un treno e un viaggio per l’America».E adesso?«Ho finito la lavorazione del filmComandante, sono in una pausa meritata. Anna (Ferzetti, sua moglie,ndr)è impegnata in teatro, io mi occupo delle bimbe con piacere. Faccio il papà».