la Repubblica, 6 marzo 2023
La lezione di Bob Kennedy
Da più parti, la neosegretaria del Partito Democratico Elly Schlein viene richiamata a repentini esami di coscienza moderati, per abbandonare i toni radicali, usati non solo nella vincente campagna contro il presidente riformista Stefano Bonaccini, ma nella vita intera, da Occupy Pd, al volontariato per Barack Obama negli Usa, Paese di cui è cittadina. Le voci, autorevoli e ragionevoli, ricordano a Schlein la realtà: mai il Pd, in cui da poco è tornata a militare, è stato maggioranza, non lo sarebbe neppure sommato ai 5 Stelle dell’ex premier Conte, perché, scomparso il Pci, la sinistra dura e pura è anacronismo.
Controcorrente, ci sentiamo di suggerirle il percorso opposto: Schlein resti se stessa, non muti comunicazione e toni, pur screziati da ingenuità e vezzi da assemblee di base, incuranti dei compromessi di governo. La virtù principe del XXI secolo è, per i cittadini, l’autenticità. Leader assai diversi – Obama, Trump, Biden, Macron, Johnson, Renzi, Conte, Grillo, Merkel, Meloni – hanno vinto perché percepiti “veri” nel messaggio, non edulcorati da spin doctor, influencer, social media. Alla manifestazione di Firenze contro lo squadrismo, sabato, la segretaria ha debuttato così e, in una prima fase, così dovrà procedere, le elezioni europee 2024 sono proporzionali, paga l’identità. Quando era ferma al 4% Giorgia Meloni, come Salvini e Renzi agli esordi, ha reso con orgoglio il profilo più, non meno, militante, scandendo momenti, vedi il rabbioso comizio a Vox in Spagna nel 2022, che gli avversari le rinfacciano, ma che si son rivelati cruciali per la scalata a Palazzo Chigi.
Il panorama della sinistra mondiale muta, ogni giorno.
A chi, nel 2020, rimproverava a Biden e Obama di essersi radicalizzati, rispetto al centrismo 2008-2016, entrambi replicavano che crisi economica, fine della globalizzazione, generazioni in cerca di identità e diritti, cambiamento climatico, media digitali rivoluzionano la scena. La vittoria di Schlein è frutto non delle macchinazioni, pur palesi e tragicomiche, dei tardi cacicchi Pd, né dei consensi grillini (fonte sondaggi Noto) e neppure del tiepido appoggio offerto dall’apparato a Bonaccini: la sorpresa deriva dalla speranza di riscossa incarnata da Schlein, come – consaggezza – il presidente emiliano ha, per primo, riconosciuto.
Il fondatore del Manifesto Lucio Magri amava dire che il cambio di stagione della sinistra arriva sempre da uomini e donne giovani, Schlein resti dunque Elly, non ceda alla Roma parruccona, che ingoia in mediocrità ogni Marziano, come immaginava lo scrittore Ennio Flaiano. “Marziana Elly” si batta da qui alle Europee, non si rinchiuda, come i predecessori, in un cabaret diyes–men, si apra alla sinistra raziocinante, deluda chi sull’Ucraina svende il pacifismo a Putin, non lasci la difesa delle democrazie in Europa agli ex missini, tenga la posizione, come ha ben fatto nell’intervista a Jason Horowitz del New York Times.
Confermata l’autenticità, ascolti il veterano Romano Prodi, unico a battere le destre in campo, 1996 e 2006, su economia, globale e digitale, con le classi di Marx evolute nelle figure ibride, studiate dagli eredi di Marco Biagi al think tank Adapt. Anche democratici Usa e laburisti britannici hanno vissuto fasi di transizione, con Bernie Sanders e Jeremy Corbyn. Sanders s’è battuto, senza aggredire i moderati del partito, perdendo infine alle primarie, ma eleggendo Joe Biden e stoppando l’autoritarismo di Trump. Corbyn ha vissuto di rancore contro Tony Blair e l’Occidente, innescando Brexit e Boris Johnson, fino al ritorno di Keir Starmer.
Tra il 1964 e il 1968, 20 anni prima che Schlein nascesse, Robert Kennedy condusse spericolate campagne per le nomination democratiche a Senato e Casa Bianca, spiegando a chi gli contestava i legami con l’establishment del fratello John, come gli studenti alla Columbia University, che un leader forte sa maturare.
Kennedy diede prova di passione morale, tenne la barra sui valori, vedi il discorso a Indianapolis dopo l’assassinio del reverendo King, ma restò pragmatico.
Senza parole artificiali, Elly Schlein dedichi la storica vittoria non al Pd, ma al fantastico 40% di consensi 2014 di Matteo Renzi (da non demonizzare), facendolo lievitare, con gli alleati, al 51% che, giorno verrà, riporti le sinistre al governo del Paese, per la strada maestra delle urne stavolta.