il Giornale, 6 marzo 2023
Intervista al mentalista Christopher Castellini
«Pensa un numero». Sembra facile, ma alla fine vince sempre lui. Inevitabilmente. La sfida con un mentalista è una questione strana, vorresti fregarlo ma alla fine fai il tifo per lui. «Sei sicuro che il numero è questo? Vuoi cambiarlo?». Sì, lo cambi. Eppure vince ancora. Christopher Castellini è un mago della mente, uno di quelli che ti fa uscire di testa perché non riuscirai mai a capire come ti imbroglia. E come ha fatto, nonostante tutto, a superare ogni barriera finendo per volare con la mente: «Soffro di distrofia muscolare progressiva, lo so da sempre. E ringrazio Dio di essere qui a vivere questa vita meravigliosa». Cominciata con un mazzo di carte, quando aveva 8 anni: prima la magìa era solo un gioco. A 31, oggi, gira il mondo in carrozzina: si è esibito in Paesi come Inghilterra, Grecia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Egitto, Usa. Ed è entrato nel Guinness dei Primati, ha vinto premi, ha ricevuto l’endorsment pubblico di David Copperfield: «Pensare che non avrei mai creduto di riuscire a stare davanti alle persone a fare i miei numeri». A quelle persone a cui sa leggere la mente. Partiamo da quel mazzo di carte. «Me lo ha regalato mia mamma. I miei genitori si sbizzarrivano per cercarmi dei regali particolari ad ogni compleanno, ma fino ai 3-4 anni le scatole dei maghi erano un gioco come gli altri. Poi ecco la scintilla: a quel punto scopro di avere una passione, e sogno di avere un giorno uno spettacolo tutto mio a teatro». Chi era il punto di riferimento? «Quello di tutti gli aspiranti maghi: Silvan. E ogni regalo, anche degli amici, era un modo per espandere il repertorio. A un certo punto volevo di più: cercavo scuole e club di illusionisti, ma a Brescia non trovavo nulla». Fino a quando? «Fino a che, a 17 anni, accade tutto per caso. In Tv trasmettevano Master of Magic, uno spettacolo con i più grandi nomi del settore, e siccome mi piaceva molto mi sono fermato a leggere i titoli di coda per capire chi fosse il presentatore: si chiamava Walter Rolfo». È stato lui a fare la magìa? «Era destino. Ai tempi gestivo su internet una community di appassionati di Harry Potter e un giorno mi arriva la sua mail: Forse non mi conoscerai..., e si presentava. Ma io sapevo benissimo chi fosse». Cosa voleva? «Cercava appassionati di Harry Potter, appunto, per uno spettacolo. Ed era capitato sul mio sito. Mi ha proposto di aiutarlo e, scoperta la mia passione, mi ha indirizzato in un circolo bresciano di appassionati di illusionismo. Così alla fine mi sono iscritto al Cardini Club, presieduto da un altro grande nome come Mario Bovo, e ho scoperto una grande comunità di appassionati. Da lì si è aperta una strada». La disabilità non è mai stata un ostacolo per percorrerla? «A 17 anni riuscivo ancora a camminare. Anche se, appunto, ho sempre saputo che non sarebbe stato per sempre: mia madre è portatrice sana della malattia, ho un fratello più grande con gli stessi problemi, io avevo il 50% di possibilità di soffrirne. I miei genitori conoscevano il rischio ancor prima della mia nascita e li ringrazio ogni giorno per non aver voluto fare il test neonatale. Il loro è un vero inno alla vita». Quando si sono presentati i primi sintomi? «Fino a 8 anni non avevo grandi problemi, usavo la carrozzina solo alla fine della scuola. A 19 anni ho cominciato a usarla quasi sempre: non ero più abbastanza stabile e a quel punto ero certo di non avere possibilità di fare un spettacolo con 4 ore di repertorio, studiato per muoversi liberamente. Stavo rinunciando al mio sogno, pensavo che fosse impossibile, cosa mai penserà la gente di me?. Mi facevo un sacco di problemi». Dopodiché? «Succede una cosa incredibile: faccio un viaggio negli Stati Uniti e incontro David Copperfield. Gli spiegano chi sono, lui mi guarda negli occhi e mi dice: Porta avanti la tua magìa. È stata la scintilla: mi ha fatto capire che il mio limite non era fisico, ma nella testa. Avevo però ancora un po’ di dubbi, ma a quel punto il presidente Bovo allora mi iscrive, con un po’ di insistenza, a un concorso internazionale a San Marino». E lì nasce il mago della mente. «Poco tempo prima aveva assistito a un mondiale di magìa a Rimini ed ero andato dai più grandi artisti per avere consigli. Tutti mi dicevano: Punta sul mentalismo. Ho seguito il suggerimento». Com’è andata? «Era una sfida, per il concorso ho preparato uno spettacolo di 10 minuti. Alla fine il pubblico ha dato una risposta così forte che ancora mi emoziona. E tra quel pubblico c’era Raul Cremona». Il Mago Oronzo... «Un Maestro e una grande persona: è venuto a congratularsi, stupito dalla mia tecnica, e mi ha dato consigli tecnici e artistici. Da lì a pochi mesi sono riuscito a realizzare il mio sogno: debuttare a teatro». E a cominciare a vincere premi. «Al campionato europeo di Blackpool, categoria Mental Magic, arrivo terzo. E l’anno dopo in Corea del Sud mi ritrovo di nuovo sul podio, sempre terzo, primo italiano a riuscirci. Non ci potevo credere». Così arriva il paragone con Steven Hawking. «Per me è un onore: lui è stato un esempio di come all’interno di una situazione non facile si possano trovare risorse inaspettate. Io, tra l’altro, ho la passione per la fisica, l’ho sempre stimato molto. Ha dimostrato a tutti, anche a me, che se è vero che la malattia è un ostacolo, gli ostacoli ci regalano un’occasione per metterci alla prova e trovare il nostro talento. Ora lo insegno anche a scuola». In che modo? «Sono presidente di Life is Magic, un’associazione con la quale organizzo mini incontri con i ragazzi dal titolo Una lezione (im)possibile. Condividere le mia esperienza è un messaggio di speranza». Qual è il segreto di un mentalista? «L’empatia è fondamentale. È una dote innata: si può allenare ma fino a un certo punto. Poi si aggiungono una serie di tecniche che richiedono un grande studio della mente umana e della comunicazione. Tutto il nostro corpo comunica, come ci muoviamo e parliamo: il buon mentalista deve sapere leggerlo». Poi c’è la tecnica. «Quella si può affinare, migliorare. Se hai davanti una persona che parla troppo o troppo poco, è chiaro che c’è qualcosa che va a toccare certi tasti del suo intimo. Ed è importante come si veste o come si muove. Pensate al classico gioco della monetina da nascondere in una mano: l’istinto è quello di mettere in evidenza quella vuota per attirare l’attenzione. Bisogna capire e controllare il contesto». Sembra facile. «La cosa più emozionante sono gli incontri e le connessioni che si creano tra le varie persone. Noi siamo connessi, lo straordinario in fondo si nasconde sotto una patina di ordinarietà». Per esempio? «Nel mio ultimo spettacolo c’era esperimento nuovo: 430 persone in sala avevano ognuna un libro in mano. A quel punto ho lanciato oggetti per andare a chiamare degli spettatori a caso. Il risultato è stato che una delle persone scelte aveva un libro di autore chiamato Christopher, il mio nome. Mentre la seconda aveva con sé un testo di uno scrittore che era casualmente presente in teatro». Casualmente? «Le connessioni vanno aldilà di ciò che posso prevedere. Voi per me siete un libro aperto, ma senza la vostra collaborazione non posso accedere a nulla che non vogliate far sapere». Una curiosità: almeno quando fa la spesa riescono a fregarla? «Difficile. La mente umana utilizza meccanismi innati: so come funzionano. E cosa usa il marketing per farli funzionare». Ma qualcosa sarà pure andato storto. «Ovvio, il mentalismo non è una scienza esatta. In quel caso si prosegue con una parte più semplice dello show che permette di andare avanti, cercando di capire cosa sia andato storto. A volte è solo questione di lavoro: mi è capitato con un gioco che avevo studiato 7 anni, eppure non ero pronto. Ho raccontato la verità al pubblico e sono passato ad altro». Quanto lavoro c’è dietro agli spettacoli? «Quando preparo esperimenti nuovi studio fino a 12 ore al giorno. Prima delle competizioni o nei periodi di spettacoli e tour, c’è sempre un po’ di allenamento, ma più blando». Il futuro è un’illusione? «Il mio di certo no, ho degli obbiettivi. Per esempio mi piacerebbe accrescere gli spettacoli in teatro, sia in Italia che all’estero. E continuare a confrontarmi con i miti che ho avuto la fortuna di conoscere: Silvan appunto, che è un vero gentleman, Raul Cremona, il Mago Forest, Arturo Brachetti, Alexander. Poterli chiamare colleghi mi emoziona sempre». E David Copperfield? «Quando ho vinto uno di premi si è complimentato sui social. Ha scritto: sono fiero di te».