Domenicale, 5 marzo 2023
Storia del telefono
C’erano una volta le Favole al telefono (1962) di Gianni Rodari, che un padre viaggiatore improvvisava ogni sera per comunicare con la figlioletta a casa, rese possibili appunto dalla più straordinaria invenzione degli ultimi 150 anni. Per la precisione 151, se la vogliamo attribuire a Meucci, che però diventano 146 se propendiamo per Bell. Oppure dodici anni prima, se decidiamo di affidarci alle cronache dell’epoca, che attribuiscono la paternità del telefono al geometra aostano Innocenzo Manzetti, che inventò anche uno dei primi robot della storia (il suonatore di flauto, visitabile nel piccolo Museo dedicato all’inventore all’interno del Centro Saint Benin ad Aosta) e la macchina per la pasta. È curioso che il (probabile) inventore dell’invenzione del secolo sia oggi un fantasma.
Non lo era però al tempo di Bell, i cui emissari fecero visita al suo cabinet des merveilles nel centro del capoluogo valdostano; lo stesso Meucci (a sua volta scippato della sua invenzione) dichiarò alla stampa americana «Io non posso negare al sig. Manzetti la sua invenzione». Senza il telettrofono (questo il suo primo nome) non avremmo l’iPhone, ma nemmeno, probabilmente, il web, google e la Silicon Valley. Il perché ce lo spiega quel prefissoide, tele, che letteralmente significa «da lontano». L’intuizione del telefono fu la prima che ci pose innanzi alla possibilità di comunicare urbi et orbi. Concettualmente, ad essere senza esserci. Concretamente, in sintesi, ad essere connessi.
Esce ora per il Saggiatore una evocativa Storia sentimentale del telefono di Bruno Mastroianni, filosofo, social media strategist ed esperto di comunicazione dell’errore, che è precisamente ciò da cui nasce ogni invenzione. È il racconto di come il telefono entri in ogni singola particella della nostra giornata ed è scritto come se fosse una lunga, ininterrotta telefonata. Dall’autore al lettore, che non può rispondere ma può riflettere su quanto questa invenzione ci possieda mentre noi fingiamo di possederne l’interfaccia tecnologica.
Il libro non è un trattato sociologico e nemmeno un romanzo, piuttosto un flusso leggero di memorie, aneddoti, riflessioni su come la tecnica cambi, prima che ce ne accorgiamo, il nostro modo di vedere il mondo. Anzi, il nostro modo di essere nel mondo. Il Novecento e il secolo entrante sono la grande era della tecnologia e della scienza che la precede, il primo momento della storia in cui i miracoli non sono più affidati a prodigi celesti, ma al silicio e a interfacce che stanno nel palmo della nostra mano. Grazie soprattutto a quell’invenzione, frutto dello spirito del tempo, concepita da Meucci e Manzetti e portata nel mondo (con metodi discutibili) da Bell. Ciò che resta è un’invenzione che, da allora, ha guidato la Storia.