Il Messaggero, 4 marzo 2023
L’8 marzo con il caro-fiori
In epoca di inflazione spinta non poteva certo mancare il caro-fiori. Nell’imminenza dell’8 marzo, festa della donna, una delle occasioni in cui se ne regalano di più, i ramoscelli di mimosa costano il 20-25% in più rispetto allo scorso anno. I dettaglianti motivano gli incrementi con la siccità che ha colpito l’agricoltura e con gli aumenti dei costi alla produzione. In effetti, non è proprio così perché i produttori hanno sostanzialmente mantenuto gli stessi prezzi dello scorso anno. «Il raccolto conferma Aldo Alberto, presidente dei Florovivaisti Italiani è stato francamente buono e la mimosa è stata stoccata nelle settimane scorse in modo da resistere bene, così da poter affrontare il mercato con prezzi equilibrati». Vista però l’impennata al dettaglio, è evidente anche in questo caso che gli anelli più deboli della filiera sono i consumatori finali e, a monte, gli agricoltori, schiacciati dai costi di produzione e dagli eccessivi sconti pretesi dalle reti commerciali. Il caro vita e l’aumento dei costi contrae comunque tutto il mercato dei fiori, con una riduzione a livello europeo del 25% circa degli acquisti di piante in vaso e una stentata tenuta dei fiori recisi. «Però spiega Alberto nella situazione complessivamente disastrosa per l’agricoltura a causa della siccità e dell’aumento dei costi, noi vantiamo un buon livello di export, perché a causa degli eccessivi costi di trasporto si è ridotta l’importazione in Europa dei fiori del Sud America e dell’Africa. Noi stiamo quindi vendendo di più». La concorrenza dai paesi del terzo mondo dove spesso non vengono rispettati i diritti dei lavoratori e si produce con pesticidi vietati nell’Ue è uno dei problemi della floricoltura italiana.
LA DISTRIBUZIONE
Significativo il caso delle rose vendute nelle catene della grande distribuzione che arrivano per la quasi totalità dal Kenia, seppure formalmente vendute dai grossisti olandesi. Stessa cosa per il 90% delle orchidee e di altre specie provenienti da Equador, Colombia, Etiopia, Taiwan. «Il settore florovivaistico con le sue 24 mila imprese, oltre 100 mila dipendenti, quasi 3 miliardi di fatturato, merita maggiore attenzione», afferma Aldo Alberto.
«Purtroppo durante la scorsa legislatura parlamentare denuncia nonostante l’approvazione all’unanimità alla Camera, non è stato approvato il disegno di legge che istituiva al ministero un "ufficio fiore" e dava ordine al settore. Speriamo venga ripresentato presto». Un primo impegno, in tal senso, lo ha preso Patrizio La Pietra, sottosegretario al ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare. «Il florovivaismo ha affermato intervenendo a un convegno della Cia-Agricoltori Italiani - non deve più essere la Cenerentola dell’agricoltura. Il settore ha bisogno di strategie di lungo termine, con una adeguata programmazione economica, frutto di una fattiva collaborazione di tutti i distretti interessati. Il ministero dell’Agricoltura farà la propria parte garantendo un’interlocuzione diretta con le associazioni di categoria».
LE QUESTIONI APERTE
Oltre agli aspetti economici, i floricoltori ribadiscono l’importanza del verde. «Occorre afferma Alberto tornare a investire nel verde pubblico, in modo strutturale e non episodico». Intanto, il cambiamento climatico (con la siccità che ha ridotto l’esigenza di manutenzione del verde) e l’aumento dei prezzi frenano anche il mercato delle attrezzature per il giardinaggio. FederUnacoma, l’associazione dei costruttori di macchine per l’agricoltura, ha calcolato un calo nel 2022 delle vendite del 15,2% con le punte peggiori per i rasaerba (-21,4%), e tagliasiepi (-24,4%). Le vendite complessive per il comparto del giardinaggio hanno avuto un valore di 960 milioni di euro. «Ciò che ci preoccupa maggiormente spiega il presidente di Comagarden Renato Cifarelli è il calo della domanda nella fascia media del mercato, che ha i numeri più importanti e che registrava un trend crescente. Se questo andamento dovesse confermarsi, avremmo un mercato sempre più polarizzato tra mezzi di fascia alta da una parte, costosi e accessibili a pochi, e prodotti economici dall’altra, spesso di bassa qualità e realizzati in quei Paesi che esportano tecnologie poco affidabili anche in termini di sicurezza».