Tuttolibri, 5 marzo 2023
Giorgio Parisi racconta Luce D’Eramo
Partiranno, il romanzo di Luce d’Eramo, ci accompagna a osservare con un nuovo sguardo il nostro pianeta attraverso gli occhi alieni dei suoi protagonisti. Partiranno è una lettura avvincente, non solo per la sua riuscita artistica, ma anche per una non usuale concezione del rapporto tra letteratura e conoscenza scientifica. Il romanzo ha apparentemente la struttura di una spy story, e ci racconta alcune delle avventure che sono capitate ai Nnoberavezi, abitanti di un’altra galassia, venuti sulla Terra – a quanto pare – per una spedizione scientifica: lo studio della vita sul nostro pianeta.
A Roma, in un villino isolato nel verde dell’Aventino, vive tutta sola una matura zoologa. Strane creature, scambiate in primo tempo per animali di una specie sconosciuta, prendono contatto con lei e, attraverso lei, con sua sorella, una fisiologa, e con suo nipote, un giornalista. I Servizi segreti italiani, sovietici e statunitensi hanno sentore di qualcosa e s’inseriscono pesantemente nel gioco. Partendo dalla caccia (piena di episodi sia divertenti che drammatici) che i Servizi segreti danno agli extraterrestri, l’autrice ci svela a poco a poco il modo di essere, di comportarsi dei Nnoberavezi e ci fa intuire la vita sul loro pianeta in contrasto con la nostra. Anzi, le vistose differenze tra le condizioni di vita su quel pianeta lontanissimo e l’enorme ricchezza biologica sulla Terra hanno un ruolo narrativo fondamentale nella storia. Descrivere con ricchezza di particolari un paese, una civiltà, un governo immaginari è un procedimento antichissimo, da Platone a Voltaire, da Cyrano de Bergerac a Swift, fino ai moderni scrittori di fantascienza. Tuttavia, questo libro è unico – a mia conoscenza – per la qualità della sintesi tra letteratura e conoscenze scientifiche. Infatti, nel dar vita a un’opera di fantasia, Luce d’Eramo riteneva essenziale creare una storia e dei personaggi che non contraddicessero i risultati fondamentali della scienza. Non voleva immaginare mondi alieni in modo fiabesco – in questo rifuggiva dal genere fantasy –, ma pensava che per essere efficace e incisiva sul piano narrativo la fantasia dovesse accuratamente attenersi ai dati di realtà, e quindi si documentava con attenzione su ciò che fosse o non fosse possibile dal punto di vista della scienza moderna.
Questa fusione è così ben riuscita che il lettore, se non è uno specialista, ha difficoltà a distinguere i confini tra la scienza ufficiale e la creazione fantastica. Riuscire a inventare qualcosa di completamente alieno rispetto al nostro mondo senza scavalcare i limiti delle nostre conoscenze, senza ricorrere a facili scorciatoie, è un’operazione estremamente difficile, che richiede una grande forza d’immaginazione oltre a una straordinaria preparazione teorica, di tipo scientifico e non più solo umanistico. Del resto, anche restando in ambito terrestre, proprio per dare alle sue storie una forte verosimiglianza, l’autrice riteneva essenziale conoscere di persona i luoghi in cui si svolgono i suoi romanzi in maniera da poterne dare una descrizione realistica con quei piccoli dettagli che fanno la differenza. Mi ricordo con grande piacere una settimana in cui – di ritorno da un congresso a Chicago – mi sono ritrovato con lei in una gelida New York invernale a perlustrare i luoghi in cui si sarebbero svolti alcuni episodi cruciali di Partiranno.
Sono stato testimone del procedimento della scrittrice dell’assimilazione e dell’uso di argomenti scientifici nel corso della stesura di Partiranno, e posso quindi riferire in proposito non solo per quanto riguarda le scienze fisiche, ma anche per le altre discipline. Un punto particolarmente delicato erano i viaggi spaziali da una galassia all’altra e i mezzi cui potevano ricorrere degli extraterrestri per spostarsi: Luce d’Eramo non voleva trovare espedienti inverosimili e mi ha ripetutamente consultato a riguardo, sia per informarsi, sia per verificare da un punto di vista scientifico le soluzioni letterarie a cui approdava. L’impossibilità di andare più veloci della luce sembrerebbe impedire i viaggi spaziali: nel romanzo questa difficoltà viene risolta ingegnosamente supponendo che lo spazio abbia curvature non direttamente osservabili, cosicché due regioni apparentemente distanti dello spazio possono venire a trovarsi vicinissime (le pieghe dello spazio). In questo caso è interessante vedere come la sua arte si sia dedicata a dare corpo e anima a una visione del cosmo (l’elasticità dello spazio) carica di riflessi psicologici, e tuttavia non arbitraria dal punto di vista delle nostre conoscenze scientifiche.
Coerenza possibile, come si è visto, perché questo mondo alieno è stato ricostruito tenendo conto delle conoscenze scientifiche finora acquisite relativamente alle leggi fisiche e chimiche che valgono per tutto il cosmo e alle strette relazioni tra vita e ambiente. Sappiamo per esempio che fenomeni astronomici (piogge di meteoriti), geologici (la formazione e la deriva dei continenti), biologici (estinzioni di massa) sono fortemente connessi l’uno con l’altro sul nostro pianeta; sarebbero assolutamente insufficienti, parziali e unilaterali tutti i tentativi di spiegazione della vita su un pianeta che trascurassero questa continua interazione di fattori ambientali. Leggendo, risulta evidente come le condizioni materiali complessive del pianeta Nnoberavez abbiano determinato e determinino il tipo di vita e di ecosistema che vi si è sviluppato, la civiltà degli abitanti (che non è tecnologica come la nostra), il loro modo di pensare e di affrontare la vita. La costruzione fantastica di Nnoberavez è sorprendentemente adeguata alla sfida della complessità che immaginare un pianeta e le sue forme di vita rappresenta. Una sua caratteristica essenziale è l’interazione fra le diverse strutture e i diversi piani di realtà (ambiente materiale, conformazione biologica e psicologica, comportamento...). Nessuna delle differenze fisiche rispetto alla Terra è gratuita e priva di conseguenze: anche il comportamento dei piccoli Nnoberavezi, così diverso da quello dei piccoli terrestri, è fortemente influenzato dall’ambiente circostante.
La conseguenza più importante, a mio parere, del forte effetto di realtà e coerenza interna ottenute con questo procedimento è che il punto di vista degli alieni e quello degli umani, nella loro estrema diversità, risultano entrambi motivati e persuasivi nel loro intrecciarsi e alternarsi, incontrando ostacoli, punti di contatto, canali di comunicazione inaspettati e interrogativi senza risposta.
Anche il nostro approccio di lettori con gli extraterrestri di Partiranno ricorre sistematicamente alla diversità dei punti di vista. Un fascio di visuali differenti converge verso di loro, e la molteplicità stessa di tutti questi sguardi (dei loro amici, dei nemici) conferisce loro un rilievo a più dimensioni, anzi gli conferisce lo spessore del vissuto. Dall’inizio alla fine ci si avvicina a questi «esseri di singolare conformazione» solo attraverso documenti di ogni genere: fotografie, appunti, registrazioni telefoniche, relazioni – in particolare in certi grossi quaderni, taccuini, agende – scritti da chi li ospita, in un intervallo di tempo che va dall’arrivo del primo extraterrestre rimasto clandestino all’inizio dell’inchiesta poliziesca, una ventina d’anni dopo.
Una stessa realtà viene percepita e descritta – con forti divergenze di vedute – da una zoologa, un botanico, due medici, una biologa, un giornalista politico ex fisico, da diversi agenti dello spionaggio: questa eterogeneità è favorita ancor di più dalla diversità degli spazi e dei luoghi dell’azione, che si svolge tra il cielo, Roma, la Francia, New York, San Pietroburgo, Rio de Janeiro, per terminare – forse – nell’isola di Oléron. A volte gli stessi Nnoberavezi forniscono direttamente una chiave interpretativa a qualcuno dei loro amici. L’autrice non descrive quasi mai direttamente gli extraterrestri, ma lascia parlare chi ha modo di avvicinarli. E solo attraverso il buco della serratura, per così dire, attraverso frammenti dei diari di Paola Rodi, oppure captando tramite microspie lunghe e a volte accanite discussioni in famiglia a proposito dei «Signori» in incognito, insomma attraverso le reazioni di chi ha accolto gli extraterrestri, a loro volta spiati dai Servizi segreti, arriviamo a conoscere a poco a poco, frammentariamente ma in maniera dettagliata, quasi scientifica, la biologia e l’ecologia di Nnoberavez. Così il lettore di Partiranno avvicina gli alieni attraverso le reazioni di altri umani: vede come sono passati pian piano da un’ipotesi all’altra e ciò gli facilita l’approccio con gli extraterrestri. L’autrice invece, nei lunghi lavori preparatori prima di procedere alla stesura del libro, non ha potuto appoggiarsi a esperienze precedenti. È certo che – un po’ come la Paola Rodi del romanzo – abbia prima incontrato la conformazione e la psicologia dei Nnoberavezi e poi, per tentativi, mettendosi in un atteggiamento ricettivo, di ascolto e di ricerca, abbia piano piano intravisto attraverso di loro il mondo da cui provenivano. Luce d’Eramo spesso diceva che quando scriveva la scena di un romanzo, una volta entrata in una situazione, lasciava liberi i personaggi di muoversi e si limitava a registrare le loro azioni e reazioni. Lei stessa in Io sono un’aliena dichiara «a momenti, mentre scrivo, mi pare d’essere morta, intenta a guardare cose fuori della mia portata». Nell’approfondire la conoscenza dei Nnoberavezi, abbiamo di riflesso un’immagine nuova, diversa dal solito, dell’uomo e delle sue relazioni con la natura. Le categorie mentali umane non sono più universali, ma determinate storicamente, geneticamente e anche dalla struttura chimicofisica di questo pianeta. Ma l’individualità e unicità scaturite da questa interazione complessa rendono il fenomeno umano interessante su scala galattica. Da un lato quindi abbiamo gli scienziati umani, che studiano gli extraterrestri, dall’altro gli scienziati Nnoberavezi che studiano il nostro pianeta, con criteri che ci sfuggono in massima parte. In fondo Partiranno descrive anche l’incontro tra questi studiosi completamente diversi tra loro ed estremamente incuriositi gli uni degli altri (almeno così sembra, anche se i Nnoberavezi non sono molto espliciti su questo punto).
Questi alieni, costituzionalmente disposti ad aprirsi verso il nuovo, non ci giudicano per i nostri limiti, ma ci considerano «una specie esclusiva» per la nostra capacità di manipolare, di ritornare incessantemente sul già dato per trasformarlo e approfondirne il controllo, insomma di metterci sempre più comodi nel nostro mondo, invece di attrezzarsi per uscirne, come fanno loro. La nostra «fantasiosa» e «rovistante manualità», la capacità artistica di far respirare anche la pietra, il continuo tentativo di ripartire dal passato – nomadi della memoria – per immaginare e programmare il futuro sono ai loro occhi la nostra originalità e la nostra forza.
Lo sguardo dei Nnoberavezi ci spalanca però una prospettiva opposta a quella antropocentrica in cui viviamo: in Partiranno l’uomo non emerge come l’unico essere vivente «superiore» degno di nota su questo pianeta, ma risulta veramente solo la punta più avanzata di un processo evolutivo che coinvolge tutte le specie viventi. Da un lato gli extraterrestri s’interessano a tutte le specie sulla Terra (in particolare uno di loro – Eonai – ha un’attrazione verso i felini), dall’altro lato il mestiere di una dei principali personaggi umani del romanzo, Paola Rodi, zoologa, fa sì che si riveli di volta in volta, come termine di paragone, il comportamento dei più svariati animali, dall’occhione ai salmoni, e che per un momento si affaccino alla mente i drammi vissuti da altri esseri viventi accanto a noi, perfino l’angoscia delle rane. Le descrizioni della vita animale attraverso lo sguardo di Paola Rodi, e soprattutto l’attenzione che prestano a essa gli alieni, ci rendono consapevoli che su questo pianeta non siamo gli unici a combattere e soffrire per un fine che va al di là di noi stessi.
Riflettendo oggi sul senso complessivo del romanzo, viene da chiedersi se Nnoberavez sia anche, in qualche modo, un’utopia per noi, mentre viceversa constatiamo come la Terra sia un oggetto di irresistibile attrazione per i Nnoberavezi, che in vari modi si terrestrizzano, spinti dalla loro curiosità per gli umani. In realtà, nessuno dei due mondi è un modello ideale per l’altro, perché troppo diverse sono le condizioni di esistenza, e le capacità sviluppate nell’uno o nell’altro mantengono il loro valore relativo, intrinseco e unico; ma ugualmente le differenze mettono in discussione molti nostri comportamenti che ci sembrano naturali, e ci spingono a desiderare di essere una specie meno «smodatamente attaccata alle cose», con un’organizzazione anche mentale diversa, un approccio più aperto al diverso e meno centrato su se stessi. In alcuni dei personaggi terrestri si sente anche il rammarico di vivere in un mondo dove, a differenza di Nnoberavez, ci sono specie considerate inferiori.
Ma soprattutto Partiranno è un romanzo che finalmente trasmette una concezione del mondo adeguata ai nostri tempi. Da quando abbiamo visto il sorgere della Terra sulla Luna, abbiamo raggiunto l’evidenza sensoriale diretta di quello che avremmo in teoria dovuto già sapere: siamo su un piccolo pianeta, a risorse limitate, quasi come una gigantesca astronave che viaggia nello spazio. Dell’immenso cosmo che ci circonda non abbiamo che barlumi di conoscenza, ma sappiamo che la nostra forma di vita intelligente molto probabilmente non è l’unica, e che innumerevoli pianeti nella nostra e in altre galassie possono ospitare forme di vita lontanissime. Sappiamo ormai che la vita sulla Terra è un complesso sistema interconnesso, in cui l’uomo non è più un parametro assoluto, ma deve tenere conto delle altre specie viventi se non vuole rischiare l’estinzione lui stesso, o sopravvivere su un pianeta desertificato, e abitato, oltre a lui, solo da animali da macello. E tuttavia quest’evidenza stenta terribilmente a diventare coscienza collettiva, convinzione profonda che determina le scelte quotidiane di noi umani.
Potremmo dire che Partiranno è il primo romanzo dell’era spaziale, non certo perché parla – anche – di viaggi spaziali e di extraterrestri, ma perché – a mia conoscenza – è il primo a essere totalmente permeato della consapevolezza di cosa comporti il nostro accanirci a esistere, sospesi al margine di una galassia tra migliaia di galassie che ruotano nel vuoto.