La Lettura, 5 marzo 2023
Su "Divorzi" di Susan Taubes (Fazi)
«Tu non sei una, ma molte donne. Hai un problema di straordinarie proporzioni tra Spinoza ed essere una playgirl di Acapulco. Come lo risolverai?». Un complimento appiccicoso come un’etichetta, che ha definito sempre la breve e intensa esistenza di Susan Taubes, intellettuale americana di origini ungheresi, prima donna con un dottorato a Harvard in Storia e Filosofia della religione e docente poi alla Columbia, bella come una star di Hollywood. La storia di questa donna, che mise fine alla sua vita più di cinquant’anni fa, torna alla ribalta perché nella collana dei classici del «New York Review of Books» è stata ripubblicata la sua prima e unica opera: Divorzi, romanzo attualissimo. arriva ora nelle nostre librerie.
Troppo avanti rispetto ai coevi, la narrazione di Taubes può essere considerata un precoce e coraggioso esempio di autofiction focalizzato sull’esigenza dell’autrice di definire la propria identità. Una ricerca che ha come punto di partenza il divorzio dall’ingombrante consorte, il rabbino, teologo e docente Jacob Taubes, e si approfondisce poi in un complesso racconto autobiografico.
La prima edizione è del 1969, quando la voce di Susan Taubes suscita parecchia perplessità. Scandalizza l’intellighenzia per la spregiudicatezza dello stile e per la denuncia verso la misoginia imperante anche negli ambienti più colti. Inoltre, è criticata per la struttura insolita del testo che affronta diverse forme stilistiche in prima e terza persona. C’è in particolare un articolo sul «New York Times», a firma del giornalista Hugh Kenner, che stronca senza pietà Divorzi. Una settimana dopo l’uscita dell’articolo, il corpo dell’autrice è ritrovato sulle rive di Long Island e identificato dall’amica Susan Sontag, che imputa proprio all’accanimento del recensore il motivo del gesto. Ma che la ragione del gesto potesse essere la critica appare poco realistico, specie leggendo il memoir, dove l’autrice mostra di reagire, con coraggio, a esperienze ben più dure.
Nata a Budapest nel 1928, Judit Zsuzsanna Feldmann proviene da una facoltosa famiglia ebraica: il nonno è il rabbino capo della comunità e il padre medico e psicoanalista. Nel 1939, dopo il divorzio dei genitori, per sfuggire alle persecuzioni naziste, si imbarca con il padre per gli Stati Uniti. Adottare la versione inglese del proprio nome diventa la prima strategia di adeguamento.
Divorzi inizia in modo spiazzante: la protagonista narra la sua storia da una dimensione surreale e onirica: racconta di essere morta. Un fatale incidente in mezzo al traffico parigino: investita da un taxi, muore decapitata e parla di sé dall’aldilà. Questo escamotage è funzionale a regalare un’inedita prospettiva al racconto, così Sophie Blind (l’alter ego letterario dell’autrice, in inglese blind significa cieco) può analizzare la situazione ingarbugliata della sua vita, con più cinismo e autoironia. Sposata con il professore di teologia Ezra Blind, studioso brillante ed egocentrico (copia conforme di Jacob Taubes) dopo 15 anni di matrimonio, durante i quali segue il marito nei suoi viaggi istituzionali e accademici intorno al mondo, Sophie vuole il divorzio. Agogna un po’ di indipendenza ma il coniuge si oppone. Si è sposata giovanissima, ignara di diventare una moglie trofeo. Di dover solo essere carina, fare figli e sorridere: «Di solito in sua vece parlava Ezra. Quando in compagnia, esprimeva un’opinione di Sophie, lei pensava che forse fosse meglio così».
L’incidente mortale nell’ottavo arrondissement parigino, dove Sophie è scappata a vivere con i bambini, risolve brillantemente la situazione. Non c’è più bisogno di divorzio, il vedovo può piangere platealmente l’adorata consorte e continuare la sua carriera di impenitente donnaiolo senza il disturbo di occultare i suoi vizi. L’autrice descrive dettagliatamente anche la cerimonia funebre e offre un’importante fotografia dei legami famigliari e delle imprescindibili tradizioni religiose ebraiche. Tutti la compiangono ma poi iniziano a comportarsi male, rivangando fra loro torti e antichi contrasti.
Per bilanciare e spiegare questi conflitti, a volte pesanti come macigni, nella seconda parte del romanzo Sophie racconta nel dettaglio la storia della sua famiglia: dissapori e follie sullo sfondo delle vicende storiche ungheresi. Particolarmente importante il legame con il padre, pioniere delle terapie freudiane che, spesso, hanno contaminato un po’ troppo anche il rapporto con la figlia bambina: «Le spiegò il complesso di Elettra: lei era innamorata di lui e voleva sposarlo, inutile negarlo; negarlo era una caratteristica del complesso di Elettra. Di solito papi parlava da solo: le faceva una domanda e si dava la risposta».