Domenicale, 5 marzo 2023
Biografia di Alba de Cespedes
Al tempo della sua direzione della rivista «Mercurio», nel 1944, nell’ambiente letterario ci si chiede chi sia il vero direttore della rivista, dando per scontato che non possa essere una donna. Ma il direttore è Alba de Céspedes. Ha trentatré anni, un figlio di sedici, e alle spalle un fulmineo matrimonio (per amore, o forse per ottenere – è il 1926 – quella cittadinanza italiana che alla nascita non possiede), primo di una serie di rapporti sentimentali tormentati, segnati dal confronto con un modello inimitabile. Suo padre e sua madre sono già sposati e genitori quando si conoscono. Tutto avviene repentinamente, alla bambina viene dato il nome di Alba perché la sua nascita segna un nuovo inizio nella loro vita. Ma questa investitura viene disattesa nella famiglia che i due creano subito dopo: partono per gli Stati Uniti lasciandola crescere con la zia materna, e anche quando tornano la bambina ha la sensazione di trovarsi di fronte a una coppia impenetrabile. I suoi, tra loro, parlano sempre sottovoce: è l’origine di un sentimento di esclusione, di una ferrea volontà di esserci che sarà determinante nella carriera di Alba. Ancor più ingente l’eredità che le viene dal nonno paterno, primo presidente in armi di Cuba, figura mitizzata, ma anche guida e presenza viva, benché ucciso dai militari spagnoli ben prima della nascita di Alba.
A questo gravoso bagaglio familiare, quando esce «Mercurio» de Céspedes ha già aggiunto traversie tutte sue. Nel 1935 passa una settimana nel carcere delle Mantellate senza neppure capirne l’esatto motivo. Subito dopo dà alle stampe Io, suo padre che non è malvisto dal regime, ma due anni più tardi, il romanzo Nessuno torna indietro viene considerato opera antifascista e de Céspedes fatica a proseguire le sue collaborazioni giornalistiche, il film tratto dal libro viene censurato, le traduzioni bloccate. È in quel momento che invia una copia del libro a Mussolini in persona, un gesto inutile di cui presto si pente. Ed è da questa lotta, prima tutta personale, che matura nel settembre 1943 la decisione di fuggire da Roma con il suo compagno, il diplomatico Franco Bounous, per rifugiarsi in Abruzzo, dove la coppia passa oltre un mese, trentasette notti fatte di turni per il fuoco, di eco di fucilazioni, fughe rocambolesche, ricerca di nuovi nascondigli, cibo, medicine, con la speranza che gli alberi non si spoglino in fretta, che non arrivi la neve: sono settimane vissute come vivono gli animali. Quando ne viene fuori, attraversando coraggiosamente le linee verso Bari, Alba non è più Alba: la battaglia individuale che l’aveva mossa è diventata piccola al cospetto del dramma di troppi. Diventa Clorinda, il nome in codice di chi decide, dai microfoni della trasmissione clandestina «L’Italia combatte» di Radio Bari di prendersi cura delle storie di persone incrociate nel periodo da partigiana, dei nomi da non dimenticare, delle vite da riscattare. Vive un altro tipo di notti, passate a lanciare la propria voce nell’etere chiedendosi se dall’altra parte c’è qualcuno all’ascolto, o che addirittura la riconosca sotto alla copertura del nome. Non c’è domanda che meglio si adatti ai dubbi di uno scrittore, e de Céspedes sente di essere nel posto giusto.
Ma è nel trasferimento da Bari alla stravolta Napoli, che tra un incontro con Croce e le serate trascorse dall’editore Casella, nasce in lei l’idea di «Mercurio» esplosa in una serie di lettere che invia da Roma, non appena rientrata dopo l’esilio: «Gentile amica, gentile amico, che ha scritto Lei in questi nove mesi?».
La rivista fa la storia della cultura del Dopoguerra, e il suo direttore sarà apprezzato, ammirato, ma non sempre rispettato. Forse solo perché donna, forse per pagare l’attenzione a quel mondo femminile che è il suo maggiore interesse. Sin da una prima poesia scritta sul quadernetto regalatole dalla zia al compleanno dei sei anni: «Non ci si vede più, / calata è già la notte; non ci si vede più / nelle misere grotte. / Delle povere donne / che han rotte e logore / le loro gonne, / vanno a letto / portando sulle braccia / un fanciulletto / di tre anni appena (…)».
Ha raccontato la vita di donne anche molto distanti da sé: le ragazze di Nessuno torna indietro, ispirate dalle compagne del collegio in cui si era trasferita col figlioletto dopo la separazione dal marito; la contadina abruzzese Giovanna, che nella guerra ha perso tutta intera la sua famiglia, e che lei porta ai microfoni di Radio Bari, aiutandola a trovare le parole che non ci sono; l’Alessandra di Dalla parte di lei (il romanzo che nel 1949 le darà il grande successo), cui tocca il compito, uccidendo suo marito, di uccidere simbolicamente i Padri; la Valeria di Quaderno proibito, la sua presa di coscienza che passa dalla scrittura intima; le protagoniste delle Chansons des filles de mai, giovani rivoluzionarie del 1968 parigino che Alba spia dalla sua casa sulla rive gauche.
Il vero direttore di «Mercurio» è stata una degli scrittori più letti e tradotti del Novecento, l’anima – sempre un po’ distaccata – dei salotti culturali del Dopoguerra, capace al contempo di inviare dagli Stati Uniti l’ultimo rossetto Revlon a Maria Bellonci, di prendersi cura del mal di testa di un giovane Italo Calvino, e di organizzare il ricevimento romano in onore di Thomas Mann.
Stretta alle etichette, “scrittore” e “direttore” sono le parole scelte da lei per dirsi. Quando Natalia Ginzburg le manda per la rivista il suo Discorso alle donne, accorato appello a non lasciarsi cadere nel pozzo della malinconia, de Céspedes sulle prime pensa addirittura di non pubblicarlo. Lo fa, rispondendole: «Tu dici che le donne non sono esseri liberi: e io credo invece che debbano soltanto acquisire la consapevolezza delle virtù di quel pozzo e diffondere la luce delle esperienze fatte al fondo di esso, le quali costituiscono il fondamento di quella solidarietà, oggi segreta e istintiva, domani consapevole e palese, che si forma fra donne anche sconosciute l’una dall’altra».