il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2023
Biografia di Michele Guardì raccontata da lui stesso
Per alcuni è il “condominio”, per altri il “comitato”. Per i meno avvezzi ai suoi programmi è la voce che dalla regia detta i tempi, suggerisce, gioca, sollecita, bacchetta presentatori, ospiti e pubblico de I fatti vostri da oltre trent’anni.
In realtà è Michele Guardì.
Capelli bianchi curati, giacca e cravatta vissuti come necessità, un lontano ricordo da avvocato (“ero bravino”), il sogno della televisione, l’incontro con Baudo (“gli devo tutto”) e il consolidato ruolo di talent scout: da lui sono passati Alberto Castagna, Tiberio Timperi, Fabrizio Frizzi, Massimo Giletti e altri.
Adesso è anche romanziere e per Baldini ha pubblicato Il polentone (“Sono felice, siamo alla ristampa”).
La foto del suo profilo Whatsapp è lei ragazzo in costume.
Ero a Porto Empedocle.
Il paese di Camilleri.
Eravamo amici per ragioni di campanilismo.
Vi conoscevate da allora?
No, da grandi, quando lui era un funzionario della radio a via Asiago, mentre io ero impegnato in tv appresso ad Antonello Falqui; ci vedevamo per parlare della nostra vita.
Attimi di nostalgia.
Mi raccontava pure dei suoi libri nel cassetto: non trovava un editore disposto a pubblicarli.
Come la chiamano? Maestro, condominio, comitato…
Avvocato.
Lo è realmente.
Penalista; (sorride) al Nord c’era quello importante con l’orologio sopra al polsino, al Sud ce n’era un altro che amava inventare storielle.
Era un bravo penalista?
Abbastanza ma su cause non eccessivamente pesanti.
Niente mafia.
Mai frequentata né da avvocato né da autore.
Qual è il suo talento?
Credo di non saper fare tante cose e alla fine le faccio tutte.
Bene?
Discretamente; quando mi impegno su un progetto cerco di soddisfare il me spettatore, e se sono soddisfatto va bene.
La motivazione più grande della sua vita.
Divertirmi e tramutare in lavoro il mio divertimento.
È temuto.
Mi è capitato, qualcuno si chiedeva chi avessi alle spalle, invece ero coperto solo dalla mia determinazione e abilità.
Insomma, è temuto.
Non so fare del male.
Ma se le girano i cabbasisi.
Da me pretendo il massimo, arrivo a non mangiare e dormire fino a quando non ho portato a termine l’obiettivo; così anche dagli altri mi aspetto lo stesso.
Quanti microfoni ha lanciato?
L’ultimo non ci sono riuscito perché un tecnico lo ha attaccato a una catena e quella catena l’ha legata ai miei pantaloni.
Inibito.
Una volta non riuscivo a convincere gli arredatori che un paralume stava male in uno spettacolo. L’ho segnalato più volte. Alla fine sono andato, l’ho preso in mano e l’ho fatto cadere.
È un talent scout.
Ho sempre avuto problemi a confrontarmi con personaggi conclamati, con un’autorità più alta della mia autorevolezza. Così ho iniziato a cercare personaggi nuovi; Frizzi lo ha suggerito mia moglie: “Nel pomeriggio c’è un ragazzo bravo”.
Resta un talent scout.
A me basta un quarto d’ora, in privato, per capire se è adatto ai miei programmi; non faccio nomi, ma ci sono personaggi, oggi famosissimi, che all’epoca non ho voluto perché non adatti al mio genere.
Un nome.
Ricordo una dialogo con un agente che mi proponeva un ragazzo. E io: “Se viene con me lo rovino perché tendo ad abbassare i toni, mentre lui tende ad alzarli. Però se continua così ce la farà”.
Si riferisce a Bonolis.
Le conclusioni le tira lei.
Ha iniziato con Baudo.
A lui devo tutto; una sera degli anni 70 ha visto me e mio cugino esibirci in uno spettacolo di cabaret. Ci prese. E il debutto coincise con il programma della lotteria di Capodanno; tra di noi c’era pure un giovanissimo Beppe Grillo.
Lei da cabarettista.
Ero spiritoso, educato e attento alla politica, senza strafare mai.
Che intende con “non strafare”?
Ho sempre cercato di non offendere nessuno; sono cresciuto dai Salesiani e quando si frequentano i preti, dopo o si è mangiapreti o mezzi vescovi.
Lei?
Né l’uno né l’altro.
Appena arrivato in tv quale lezione ha capito?
A evitare gli errori.
Ad esempio?
C’era Funari che portava avanti uno stile di televisione urlata e aggressiva e per me era un errore; io sono un ottimista, uno pacifico e pure superficiale. Anzi, la superficialità mi ha permesso di vivere sereno, perché non approfondisco gli aspetti negativi che mi capitano, comprese le cattiverie.
Strategia vincente.
Mi godo la serenità di tornare a casa, cenare con mia moglie e ridere insieme.
Guardate la tv?
Giusto il telegiornale, Porta a Porta e qualche film.
Sanremo?
Quello sì.
Amadeus è uno dei suoi pupilli: gli ha salvato la carriera, così racconta.
È stato generoso ad ammetterlo in un mondo dove non si è grati a nessuno; quando lavoravamo insieme non mi ha mai creato un problema.
Ora c’è Salvo Sottile.
È entrato in punta di piedi e ce la sta facendo: è l’uomo del domani.
Incoronato.
Quando alla fine della puntata vado da Giovanna Flora, capo autrice, ogni giorno le dico “che bello che è stato”; negli ultimi tempi non mi capitava più.
Come mai?
Con Magalli c’erano delle incomprensioni.
Tra Magalli e la Volpe da quale parte stava?
Nessuno dei due: non amo vedere i figli litigare; (ci ripensa) devo ammettere che Magalli inizialmente ha esagerato, poi lei ha drammatizzato un po’ più del necessario.
Dei suoi conduttori le interessa la vita privata?
Intervengo solo se mi chiedono aiuto.
Capita?
Qualcuno sì.
Il narcisismo è un problema da gestire?
È connaturato all’uomo; da ragazzino ho capito che non ero bello ma neanche brutto e sono andato avanti senza nulla rimproverami. Il narcisista è un mezzo infelice che ambisce a qualcosa che non avrà mai.
Ha dichiarato: “Quando la tv ti entra in circolo non esce più”.
A me è entrata da piccolo, ero certo che ci avrei lavorato.
Addirittura.
A 11 anni ho costruito un’antenna di legno e l’ho piazzata sul tetto; quella era la mia follia che è diventata realtà.
Torniamo all’ego: sa gestire il suo, ma come si comporta con quello altrui?
I personaggi a un certo punto devono ottenere la loro libertà e se avverto che hanno bisogno di spazio sono io a suggerirgli di trovare di meglio o altro.
Niente di personale.
No, non considero mai nulla di definitivo. È tutto importantissimo, momentaneamente.
Non si offende.
Penso a quando dopo sette anni di lavoro con Falqui, l’ho raggiunto e gli ho rivelato: “Vado via”. La prese malissimo. E andai a creare Uno mattina; per molto tempo non mi sono dedicato alla regia per paura che Antonello pensasse che gli volevo togliere il lavoro.
Si sente sottovalutato?
Sempre stato sopravvalutato, sono abile a vendermi.
Attaccato dai critici.
Da uno in particolare; è una persona invidiosa, per la quale ho comprensione al limite della pietà.
Si riferisce ad Aldo Grasso del Corriere?
Ho portato i Promessi sposi a San Siro, con ventimila presenti in piedi a urlare il mio nome. Questo critico ha definito il testo “cretino”.
Quindi?
Quando troverà ventimila persone, in piedi, a urlare il suo nome per un articolo allora parleremo da pari a pari.
I nemici cosa le imputano?
Non ho né nemici né avversari, solo persone che mi davano del provinciale.
E…
Scientificamente amo la provincia; (ci ripensa) un altro critico che parlava male di me è stato Beniamino Placido su Repubblica. Mi dava dell’ignorante.
In questo caso…
Abitavamo vicini. Un giorno gli citofono e scopro che viveva in un piano terra triste e buio. Mi apre e lo trovo con la retina in testa e l’accappatoio. “Buongiorno, sono Michele Guardì. Le posso offrire un caffè?”. “Dieci minuti e la raggiungo”. Così lo porto a casa mia, ultimo piano, ci sediamo in terrazzo e gli spiego: “Ho capito perché parla male di me: lei vive al buio, io alla luce e poi mi dà dell’ignorante ma la sfido a interrogarmi su tutto, da Kant a Proust”.
Risposta?
Mi disse: “Non è come la immaginavo”. E non ha più scritto nulla.
Conosce la Recherche.
No, me ne sta parlando lei adesso; (ride) ci sono personaggi che leggono una cosa la sera e il giorno dopo se la vendono come patrimonio personale.
Ha fatto svenire Giletti.
Insistevo su certi punti e lui niente. Io ancora. E lui niente. A un certo punto è svenuto ma secondo me l’ha fatto apposta; (pausa) però è uno bravo.
A svenire?
Sviene bene ma è comunque bravo.
Ai tempi di Domenica In si narra di liti con Mino D’Amato.
Ci scontravamo perché era un accentratore e lo disturbava tutto quello che non partiva da lui; poi allora alla co-conduzione c’era Eliabetta Gardini e lui la viveva con fastidio, voleva stare da solo.
Non eravate amici.
No, però la celebre camminata sui carboni ardenti è stata un’idea mia: negli Stati Uniti avevo visto una scuola dove riuscivano a pungersi senza sentire il dolore; (silenzio) alla fine lo spettacolo dei carboni non mi è piaciuto, lui la fece apparire come un qualcosa di simile alla magia tanto da venir definito “Mino Damianto” da Grillo.
Altro pupillo: Tiberio Timperi.
Bravissimo, è quasi un parente, ma con lui ho qualcosa da ridire rispetto al colore dei pantaloni e di certe camicie.
Chiede a Fox l’oroscopo?
No.
Proprio mai.
Cerco di restare convinto di me stesso. Lo ascolto e basta.
Perché non ha mai curato Sanremo?
Una volta un direttore mi chiama nel suo studio per offrirmelo. Entro ed esordisce: “Ho il nome delle presentatrici”. A quel punto apro la borsa, fingo di aver lasciato il progetto a casa e me ne vado.
Perché?
Mi disturbava l’idea che avessero già deciso le presentatrici: chissà cosa mi sarebbe capitato andando avanti.
Quante telefonate arrivano per chiedere di partecipare alla trasmissione?
Oggi quasi niente, una volta ricevetti una telefonata da un ministro per piazzare una ragazza accanto a Frizzi.
Tra cinquant’anni cosa resterà di lei.
Spero di essere vivo.
Tra 80.
Ho lasciato un museo a Casteltermini, amo le cose solide; ad Agrigento c’è una statua dedicata a Niccolò Gallo (politico dell’800), un mezzo busto perennemente imbrattato da cacca di uccelli. Ho comunicato al mio paese che non desidero monumenti.
I soldi quanto contano?
Contano quando non ci sono. Se ci sono bisogna stare attenti perché è come avere dell’esplosivo: un cerino e salta tutto.
Chi è lei?
Un giovane di paese che sta capendo che la gioventù è una cosa di passaggio, contento di aver seguito la sua strada senza aver pestato i piedi ad alcuno.