il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2023
Ignobile per la guerra
Il feroce regime filoputiniano bielorusso di Aleksandr Lukashenko ha condannato a 10 anni il dissidente Ales Bialiatski, Nobel per la Pace 2022. L’oppositore era già in galera dal 2021 con altri 1.457 detenuti politici della sua organizzazione Vyasna (Primavera). La Stampa gli ha dedicato un commosso e commovente ritratto di Anna Zafesova, che nota come i presidenti sovietici Breznev e Andropov ai premi Nobel russi Sakharov e Solzhenitsyn avessero risparmiato almeno il carcere, spedendoli l’uno al confino e l’altro in esilio. Lukashenko è molto più spietato e se ne infischia della notorietà moltiplicata dal Nobel, appena vinto ex aequo “con il Centro delle libertà civili ucraino che indaga i crimini di guerra di Mosca e con Memorial, la storica Ong russa messa al bando dal Cremlino, nata nel 1996 per diventare una rete di assistenza ai detenuti politici e agli attivisti della protesta”.
La notizia del Nobel al bielorusso Bialiatski e alle due Ong ucraina e russa arrivò l’8 ottobre. E curiosamente, anziché esultare per il riconoscimento a tre organizzazioni antiputiniane, suscitò l’ira funesta del consigliere-portavoce più ascoltato e più fanatico di Zelensky, Mykhailo Podolyak, che protestò vibratamente con l’Accademia di Oslo per aver osato premiare “i rappresentanti di un Paese attaccato e quelli dei due Paesi che l’hanno attaccato”. Il genio confondeva i cittadini con i loro governi: con la stessa (il)logica avrebbe dovuto contestare i Nobel a Sacharov (un favore a Breznev), a Lech Walesa (un regalo a Jaruzelski) e a Nelson Mandela (un concorso esterno in apartheid). Ma sull’imbarazzante protesta ucraina i media italiani, al solito, sorvolarono. Tranne Stampa e Foglio, che la fecero propria in due articoli con la stessa firma: quella di Anna Zafesova. Ma sì, la stessa che ora inneggia giustamente a Bialiatski il 9 ottobre accusava la giuria del Nobel di “equiparare due dittature e una democrazia, due aggressori e un aggredito”, anziché premiare per la Pace “il candidato più ovvio: Zelensky”. Cioè il capo di un governo responsabile di tre degli otto anni di guerra civile contro le minoranze del Donbass (15mila morti), che proprio quattro giorni prima, il 4 ottobre, aveva firmato un decreto per sancire la “impossibità di intrattenere negoziati col presidente russo Putin”. Cioè per proibire a se stesso e a ogni altra autorità ucraina di trattare con Mosca e continuare a ripetere il mantra”armi armi armi”. Non proprio il curriculum ideale di un Nobel per la Pace. Eppure all’epoca Zafesova lo preferiva a Bialiatsky e alle due Ong antiputiniane. E mancò poco che i giornaloni lo candidassero pure all’Oscar, al Pallone d’Oro e a Miss Italia. Poi dice che uno scrive “Scemi di guerra”.