Corriere della Sera, 4 marzo 2023
Biografia di Patty Pravo raccontata da lei stessa
Patty Pravo, qual è il suo primo ricordo?
«Ho tre anni, sono piccolina e tento di suonare i tasti neri del pianoforte. Andavo a scuola da una nobile veneziana decaduta, la Mazzincrovato, che aveva una casa piena di gatti. Prendevo anche lezioni di danza dalla maestra Turiddu, che insegnava alla Fenice».
Cosa facevano i suoi genitori?
«Papà Aldo portava i motoscafi, mia mamma stava a casa. Si chiamava Bruna, ma era biondissima. Ebbe un parto difficile, era sempre in cura. Non ho ricordi della prima infanzia. Stavo dai nonni paterni».
Severi?
«Al contrario. Nonno Domenico era il direttore dei Tabacchi, nonna Maria una tabagista convinta; io a 10 anni fumai la prima sigaretta, e non ho mai smesso. Mi davano 50 lire per la gondola, io andavo a scuola a piedi e le spendevo per le Nazionali super; poi sono passata alle Marlboro rosse. A 14 anni anziché a scuola sono stata a fare l’amore».
Con chi?
«Non glielo dico. Ai nonni ho raccontato: “Sono stata a fare l’amore e mi è piaciuto molto, posso tornare a farlo oggi pomeriggio?”».
L’avranno rinchiusa in casa.
«Invece mi hanno lasciata andare. Erano persone libere e mi hanno sempre fatto vivere libera. La nonna usciva di notte per comprare la prima copia del giornale e tornava all’alba».
E suo padre?
«Ogni tanto mi veniva a prendere e mi portava allo stadio. Ricordo un Venezia-Juventus: impazzii per Charles e Sivori, con quei numeri pazzeschi. Così mi accompagnava in giro a vedere la Juve».
È ancora bianconera?
«Per forza! Un pochino».
Com’era la Venezia degli anni 50?
«Meravigliosa. Si camminava e si ascoltavano i passi, immaginando chi stesse per arrivare».
Chi arrivava?
«Ad esempio il patriarca Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni: frequentava mia nonna e Cesco Baseggio, l’attore, perché voleva imparare il veneziano, per parlare in dialetto con i fedeli. Oppure Ezra Pound. Io abitavo a Dorsoduro, a san Barnaba, lui alla Giudecca. Un giorno lo incontrai con sua moglie e mi comprarono un gelato. Divenne una consuetudine passeggiare con il poeta».
E cosa le diceva Pound?
«Niente. Ezra Pound non parlava mai. Ma era una persona che emanava energia, e io queste cose le ho sempre sentite. La sera del 3 novembre 1966 suonai a Firenze. Alla fine dissi: c’è qualcosa di strano nell’aria, non restiamo a dormire, partiamo subito. Il mattino dopo l’Arno straripò».
Fino a quando restò a Venezia?
«Il nonno morì, rimasi sconvolta, e dissi alla nonna che dopo otto anni lasciavo il conservatorio e andavo a Londra a imparare l’inglese. La Londra del 1965 era pazzesca: succedeva di tutto e ci divertivamo moltissimo. Poi una sera sentii parlare di questo nuovo locale romano, il Piper».
E partì.
«Su un maggiolino. Con gli amici facemmo tutta una tirata da Londra a Roma. Il patron, Alberigo Crocetta, mi vide ballare e mi chiese: sai anche cantare? Io risposi di sì, alzai le spalle e me ne andai. C’è il filmato, sa? Nel nuovo spettacolo lo facciamo pure vedere».
Poi tornò.
«C’erano Arbore, Boncompagni, Tenco. Con Luigi vivevamo nello stesso residence».
Che idea si è fatto della sua morte?
«Non c’è nessun giallo. Si è suicidato. Non era una persona felice».
Boncompagni scrisse per lei «Ragazzo triste».
«Non mi riconoscevo in quella canzone. Dicevo: Gianni, noi non siamo tristi, siamo allegri, giovani, belli... E lui: vedrai che funziona. Funzionò».
La bambola è del 1968: «Tu non mi metterai tra le dieci bambole che non ti piacciono più...».
«A suo modo era un testo femminista. Lo incisero in tutto il mondo».
Renato Zero mi ha raccontato che, dopo mesi di assenza, lei tornò al Piper su una Rolls Royce bianca con autista nero, occhiali scuri e un levriero al guinzaglio, cominciò a cantare e nessuno la riconobbe, tranne il tecnico delle luci: «A Nicole’, te sei ammattita?».
«Ma no... Ero al massimo del successo, sarebbe stato difficile non riconoscermi (Patty sorride). Venivano a sentirmi Visconti, Bolognini, De Sica. In effetti avevo un autista nero, Pietro, e Crocetta mi metteva a disposizione una Rolls, che usavo per andare al mare. Renato all’inizio non c’era, arrivò dopo, come Loredana Bertè. Diventammo amici. Anche con Roberto D’Agostino: ci vogliamo ancora bene. Una volta mi divertii ad aiutare Renato Zero a montare lo spettacolo, portai un leone gigantesco, è un ricordo molto tenero... Da ragazzina avevo aiutato anche Lucio Dalla».
A far cosa?
«A scaricare gli strumenti musicali. Ero andata in un paesino veneto del Terraglio a sentire i Flippers, dove Lucio suonava sax e clarinetto. Io volevo restare, i miei amici però dovevano tornare a casa. Così dissi a Lucio: io vi aiuto con gli strumenti, e voi mi riaccompagnate».
Lei si chiama in realtà Nicoletta Strambelli. Come divenne Patty Pravo?
«Una sera, chiuso il Piper, ci facemmo un piatto di spaghetti con Crocetta e un gruppo di ragazze inglesi che si chiamavano quasi tutte Patty. Il discorso cadde su Dante. Io al conservatorio avevo studiato con Chiarini, che era un grande dantista. Ovviamente preferivo l’Inferno: “Guai a voi, anime prave...”. Patty Pravo nacque quella notte. Non che mi facesse impazzire come nome. Ma non me n’è mai fregato niente».
A Roma lei frequentava anche Mario Schifano, l’artista.
«Una delle persone che mi manca di più: eravamo fratelli. Una sera del 1965 a casa sua incontrai i Rolling Stones. Avevamo comprato una moto insieme, ma non andavamo da nessuna parte, giravamo in tondo attorno a piazza del Popolo, c’erano anche Tano Festa e Franco Angeli...».
Lei dove abitava?
«Vicino a piazza del Pantheon. Con Sergio Bardotti tiravamo mattina seduti sui gradini della fontana, con la chitarra. All’alba passava Andreotti, che andava a messa e poi in ufficio. Ogni volta si fermava a parlare con noi: “Com’è andata la notte, cos’avete fatto di bello?”».
Con Schifano avrà provato la droga.
«Mica solo con Schifano. Le droghe le ho provate tutte, tranne la cocaina che mi fa schifo. Canne, anfetamine, acidi: non era robaccia come adesso, che ti ammazza. Fu il mio periodo rockettaro. Poi sono andata in America e ho smesso».
Cosa votava nella Prima Repubblica?
«La prima volta che ne avevo diritto, alle politiche del 1972, andai al consolato di New York, ma mi dissero che non si poteva. Così non ho mai votato».
Cosa pensa della Meloni?
«Non mi sono mai schierata, e non mi schiero. A prescindere dal suo orientamento politico, è la prima donna ad arrivare dov’è arrivata: segno che deve avere molto carattere».
E di Berlusconi?
«È un uomo che si è fatto da solo e che rispetto».
Quindi a differenza di molti colleghi lei non ha mai provato interesse per la sinistra?
«Non è così. Ho sempre provato interesse per le persone vere. Craxi non mi dispiaceva affatto. Ho un ottimo rapporto con Bertinotti».
Ogni tanto lei spariva e si metteva in viaggio.
«Ero in Egitto, seduta sotto la Sfinge, quando feci amicizia con un cammelliere, che mi portò a fare il giro delle oasi. Fu l’iniziazione al deserto. In Marocco incontrai una carovana di tuareg che trasportava sale e rimasi con loro due mesi, unica donna, rispettatissima».
È vero che ha pure attraversato l’Atlantico a vela?
«In solitaria, partendo dalla Spagna. Speravo succedesse qualcosa di strano, invece presi gli alisei e fu una passeggiata. L’ho raccontato a Soldini: lui era incredulo, ma è andata davvero così».
E la via della Seta?
«Mi presi un anno sabbatico. Partii da Venezia sentendomi come Marco Polo, piena di visti e documenti però. Conservo ancora una sella che mi regalarono in Mongolia: non avevano mai visto una bionda».
Lei era amica anche di Jimi Hendrix.
«Lo vidi a Londra poco prima che morisse. Una persona stupenda. Scriveva cose classiche, non ne poteva più della parte del maledetto che spaccava le chitarre e suonava con i denti. Ma i produttori lo vollero così, sino alla fine».
Quante volte si è sposata?
«Di matrimoni ne ho celebrati cinque; ma veri solo tre».
Il primo?
«Con Gordon Fagetter, batterista a Londra».
Il secondo?
«Con Franco Baldieri, antiquario a Roma. Ci incontrammo e ci riconoscemmo. Passammo la notte insieme, e il mattino andammo in Campidoglio a chiedere i documenti per sposarci. Cavallina, la spia dei paparazzi, avvisò tutti: “C’è Patty Pravo che si sposa!”. Ero senza trucco, per fortuna sopra il pigiama avevo messo la pelliccia».
Per lei Riccardo Fogli lasciò i Pooh.
«Come dargli torto? (Patty sorride). In realtà ho saputo solo dopo che il suo manager l’aveva costretto a scegliere: non avrei mai voluto che si separasse dagli altri. Ci sposammo in Scozia, con il rito celtico».
Come finì?
«Ero a Londra per incidere un disco di Vangelis, quando incontrai Paul Martinez, che suonava il basso, e Paul Jeffrey, alla chitarra. Erano bellissimi, e ci amammo in tre».
Sembra il testo di «Pensiero stupendo». Non c’era gelosia?
«Gelosa non lo sono mai stata. C’era semmai una certa confusione. Aspettavo Martinez a Roma per partire insieme per un viaggio, quando mi dissero: “Qui sotto c’è un signore per lei con delle valigie bianche”. Una cosa cheap, che Martinez non avrebbe mai fatto. Infatti era Jeffrey: avevo sbagliato Paul. Il viaggio però riuscì lo stesso».
Chi ha sposato dei due?
«Martinez. Erano sempre loro a volersi sposare, e mi pareva brutto dire di no. Però in America andai con Jeffrey: scendemmo allo Chateau Marmont, a Los Angeles, e ci restammo un anno. Il problema sorse quando a San Francisco incontrai un altro musicista, Jack Johnson. Stracciai contratti miliardari con Jeffrey e lo lasciai lì. Ma venne fuori che le nozze con Baldieri non erano state annullate. L’avvocato mi tranquillizzò: la bigamia era punita; ma io sarei stata trigama. E la trigamia nel codice penale non è contemplata».
E ora?
«Ora sono felicemente sola».
Non le manca un figlio?
«Non ne ho mai sentito la necessità. E non ci ho mai pensato davvero, tranne che con Gordon, il mio primo marito. Eravamo in Giappone. Ci chiedemmo: ma mentre suoniamo chi lo guarda? Pensammo che avremmo potuto dondolarlo collegando la culla al pedale della batteria. Ma mentre lo dicevamo capimmo che non era il caso».
Lei era amica anche di Califano.
«Molto, pensi che nel testamento mi ha lasciato una canzone, Io so amare così. Avevo una segretaria francese, Monique, che parlava tutte le lingue: ma lui la sedusse e me la portò via».
Sedusse anche lei?
«Gli bastò la segretaria».
Altre amicizie tra le colleghe?
«Gabriella Ferri, che mi presentò Anita Pallenberg. Ripenso ad Anita mentre usciamo dalla farmacia notturna di fronte al Senato con l’ossigeno, c’era anche Donyale Luna, la modella, noi piccoline, lei altissima... Con la Vanoni ci siamo date un nomignolo: io la chiamo Ornellik, lei Nicopat. Con Giorgia scoprimmo che fumiamo le stesse sigarette e ci trovammo subito simpatiche. De Gregori e Venditti li conosco da quando erano bambini. E poi Elisa, Emma e Giuliano Sangiorgi».
Anche «Pazza idea» nasce da una storia vera?
«La scrissi con Giovanni Ullu e la firmarono in cinque, doveva intitolarsi Crazy Idea, e non mi è mai piaciuta. Mi identifico di più in un altro verso: “La cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me...”».
«Dimmi che non vuoi morire», la canzone di Sanremo. La scrisse Vasco, vero?
«Mi mandò una cassetta registrata, in cui la cantava imitando la mia voce. Non mi raccapezzavo. Questa canzone mi piace ma non la conosco, pensavo: quando mai l’ho cantata? Vasco dice che io sono la sua parte femminile, lui la mia parte maschile».
Come ha trovato il Sanremo di quest’anno? Gli scandali?
«Quali scandali? Sanremo è sempre Sanremo, gli ascolti sono stati ottimi. A me interessa solo la musica. Noi avevamo una storia dietro, io ho cominciato a 14 anni scaricando gli strumenti di Lucio Dalla e sono arrivata a incidere in otto lingue e a vendere 120 milioni di dischi; questi ragazzi fanno numeri pazzeschi tra visualizzazioni e streaming, il successo è così immediato che li mandano subito nei palasport e negli stadi. Auguro loro di resistere per molto tempo».
Anche lei si presentò in tv praticamente nuda.
«Ma non avevo seno e potevo permettermelo».
Quali sono le otto lingue in cui lei ha inciso, oltre all’italiano?
«Francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, arabo, cinese».
Cinese?
«Andai per il lancio di un satellite. Mi seguirono un miliardo e 380 milioni di persone: uno share mostruoso. Se è per questo, nel 1969 mi invitarono alla Nasa dopo lo sbarco sulla Luna; lo stesso anno cantai per l’Armata Rossa. Una tragedia, tornai dalla Russia intossicata dall’acqua che ci facevano bere».
E a Venezia torna ancora?
«Sì. Ma ormai la si può girare solo di notte».
Il futuro dell’Italia come lo vede?
«La situazione è tragica, non solo in Italia; nel mondo. Rischiamo davvero la terza guerra mondiale. Anche se sono convinta che la Cina la guerra non la voglia. Vuole ancora crescere, espandersi in Africa. È abituata a tempi lunghi».
Cosa c’è nell’Aldilà?
«Niente. Non credo in Dio. Con tutte queste galassie, non si può pensare che esista una sola mente che abbia deciso tutto».
Non teme la morte eterna?
«No, anzi mi consola. Così eviterò l’Inferno, con tutta quella gente. Anche se la vera tragedia sarebbe il Paradiso: una noia... Andateci voi».