Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  marzo 05 Domenica calendario

Massimo Ghini recita in carrozzina

Non è facile recitare per due ore in palcoscenico bloccato su una sedia a rotelle. Massimo Ghini ci riesce, interpretando il ruolo di Philippe in Quasi amici, dal film di Olivier Nakache e Éric Toledano. Lo spettacolo ha debuttato al Teatro Parioli, oggi al Metropolitan di Catania, con la regia di Alberto Ferrari. Nel ruolo di Driss, Paolo Ruffini.
«Più volte ho interpretato trasposizioni di film in palcoscenico – dice l’attore – ma è la prima volta che mi capita di incarnare un tetraplegico, sul grande schermo impersonato da François Cluzet, e di stare fermo per tutto il tempo della rappresentazione. Ho accettato la sfida per un mio vezzo da artista, ma è una bella fatica perché un conto è fare il personaggio su un set cinematografico, dove sono previsti i vari stop, un conto in teatro davanti al pubblico che assiste dal vivo. Per me, che già di carattere non sono tipo da stare fermo e come attore sono molto fisico, la fatica è doppia. Durante tutto lo spettacolo posso muovere solo la testa, in alto, in basso, a destra e sinistra. Però, sono abbastanza specializzato in malattie: in passato mi è capitato di fare anche un malato di Alzheimer e, di recente, uno covidizzato. Mi diverte trasformarmi, mettermi in gioco».
Come si è preparato?
«Non voglio raccontare bugie... non ho frequentato l’Actor’s Studio per entrare nel personaggio: mi sono seduto e ho cominciato a recitare... è mestiere. La vera emozione, però, l’ho provata quando al termine dello spettacolo, con cui abbiamo già girato in alcune città per rodarlo, sono venuti a farmi i complimenti spettatori che sono veramente paralizzati: mi aspettavano all’uscita del teatro per salutarmi e con loro ho chiacchierato a lungo. È stato in qualche modo il condividere uno stato terribile, solo che io lo faccio per finta, loro lo vivono davvero».
La parte del badante, che nel film è l’attore nero Omar Sy, qui è il bianco Ruffini...
«Eh sì, perché nella storia vera, da cui era tratto il bellissimo film, non si trattava di un nero africano, bensì di un magrebino algerino. E noi abbiamo deciso di non tradire la verità di questa vicenda umana. Ci siamo concentrati sul suo contenuto più profondo, ovvero sull’incontro tra un borghese intellettuale e un po’ snob, cioè io, e un ignorante delinquentello, cioè Paolo. Ma la nostra messinscena ha un linguaggio duro, è politicamente scorretta così come lo era il film: non c’è pietismo ecumenico».
E pensare che lei ha avvertito la sua prima attrazione per il teatro, servendo la Santa Messa.

«Certo! Da ragazzino, facendo il chierichetto... perché se ci si pensa bene, la Messa è esattamente una vera e propria rappresentazione, con tanto di costume da indossare, gesti da fare, parole sacre da dire... Più teatro di così! Però, poi, al liceo sono passato alle bombe molotov... era il periodo delle contestazioni studentesche e mi hanno pure bocciato».
Bocciato anche all’Accademia d’Arte drammatica.
«Sì, ma la rivincita è avvenuta quando Giorgio Strehler mi scelse, sia pure per un piccolo ruolo, nel suo Re Lear... e scusate se è poco. Quando lo dissi a mia madre, ha pensato che me l’ero inventato... Invece il grande regista mi adorava, si divertiva a chiamarmi il “romanaccio”. Ma poi sono stato scelto da Vittorio Gassman per interpretare Cassio; Franco Zeffirelli per fare Mortimer nella Maria Stuarda con Rossella Falk e Valentina Cortese... e così via. A certe persone dava fastidio che venissi ingaggiato da tali personalità, perché ero troppo figo, non avevo il fisico da giovane Werther e poi non ho fatto scuole e nemmeno le cantine dell’avanguardia anni ’70: sono subito passato in serie A. Semmai, per guadagnare un po’ di soldi d’estate, quando finivano le tournée teatrali, mi sono fatto le ossa organizzando spettacoli nei villaggi Valtour con Rosario Fiorello. Insomma, non mi sono fatto mancare niente».
Nemmeno l’impegno politico.
«La passione l’ho ereditata da mio padre, partigiano ed esponente del partito comunista. A suo tempo, accettai di ricoprire la carica di consigliere comunale del Partito Democratico nel Lazio per volontariato, ma sottolineo: non ho mai cercato lavoro attraverso la politica».