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 2023  marzo 05 Domenica calendario

Cosa sappiamo della sorella di Matteo Messina Denaro

«Ma ancora continuate a prendervela con noi? Non vi basta quello che ci avete fatto?», s’è sfogata l’altra mattina Rosalia Messina Denaro con i carabinieri del Ros, al momento dell’arresto. E del resto le esplosioni d’ira non sono una novità per la sorella dell’ultimo boss stragista catturato a gennaio, dopo trent’anni di latitanza. Il 3 agosto 2015, ad esempio, scrisse una lettera al fratello per commentare un programma appena trasmesso in tv, su Rainews 24. Si parlava di un’operazione antimafia della polizia che aveva portato in carcere 11 presunti fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, a cominciare da quel Vito Gondola considerato il terminale di una rete di comunicazione del «padrino» che trasmetteva ordini attraverso i pizzini.

Terminata la visione, Rosalia scrisse a Matteo inveendo contro inquirenti e investigatori: «Fanno schifo... Ti insultano, dopo avere arrestato persone a te care, lo fanno apposta».

Le parentele

Per i pubblici ministeri di Palermo che ora accusano la sorella del boss di associazione mafiosa, quelle parole sono il sintomo di un «evidente contributo della donna finalizzato a rafforzare la determinazione del Messina Denaro nel continuare a essere a capo di una organizzazione così feroce e violenta, di cui ella stessa sentiva di far parte, ignorando e tacciando di persecuzione le iniziative giudiziarie per disarticolarla».

Espressioni come quelle, proseguono gli inquirenti, «fanno il paio» con i proclami anti-italiani del fratello contenuti in quella specie di «manifesto politico» di Cosa nostra in cui — con toni definiti dai pm «inquietanti ed eversivi» — accusa lo Stato di vessare i siciliani con le incriminazioni per mafia, di cui invece lui andava orgoglioso.

Dalle indagini emerge dunque che Rosalia e Matteo, seconda e ultimo dei sei figli del patriarca «don» Ciccio Messina Denaro, sono il nocciolo duro di una famiglia di sangue e di mafia, che ha scalato le gerarchie di Cosa nostra, entrata «nel cuore» di Totò Riina e sopravvissuta al vertice dell’organizzazione per i trent’anni successivi all’arresto del «capo dei capi» corleonese. Fino a che il padrino è caduto in trappola.

Ma è probabile che la dynasty criminale dei Messina Denaro da Castelvetrano non sia ancora conclusa. Perché proprio Rosalia, attraverso un matrimonio celebrato nel 1976, rappresenta l’anello di congiunzione con un’altra famiglia mafiosa importante e ugualmente autorevole. Il marito Filippo Guttadauro, oggi settantunenne, è in galera dal 2006, quando fu arrestato nelle indagini seguite alla cattura di Bernardo Provenzano; era il numero 121 nei codici adottati dal boss nella corrispondenza criptata che intratteneva dal rifugio di Montagna dei cavalli. Scontata la pena, è rimasto incastrato nel cosiddetto «ergastolo bianco», una misura detentiva speciale impostagli per la spiccata «pericolosità sociale».

Legami stragisti

Il fratello di Filippo, Giuseppe Guttadauro detto «il dottore», anche lui pluriarrestato e condannato per mafia, è indicato dagli inquirenti come «potentissimo capo del mandamento di Brancaccio», feudo della famiglia Graviano. E proprio questi due nuclei di Cosa nostra, i Messina Denaro e i Graviano, rappresentano l’ultima leva della mafia stragista legata alla strategia corleonese dell’attacco allo Stato dispiegato tra il 1992 e il 1994.

Dei tre figli di Rosalia e Filippo, la secondogenita Lorenza è l’avvocata nominata da Messina Denaro dopo la cattura, mentre l’unico maschio, Francesco, classe 1984, arrestato nel 2013, sta scontando una pena di 16 anni. Tra non molto tempo (grazie al taglio di tre mesi per ogni anno di detenzione concesso a tutti i reclusi che mantengono la buona condotta) dovrebbe tornare libero, e gli inquirenti lo considerano il più accreditato erede dello zio Matteo al trono mafioso; potrebbe essere lui il protagonista della prossima stagione di una serie che va avanti dagli anni Ottanta.

Adesso però la scena è tutta di sua madre, tra sbotti di rabbia e un ruolo di «mente strategica dell’organizzazione» che i pm hanno cercato di interrompere con l’arresto.

Messaggi e regole

Molto resta da spiegare dei messaggi che il fratello latitante le inviava indicandola con il nome in codice «Fragolone». Ad esempio quello del 24 maggio scorso (all’indomani dell’anniversario della strage di Capaci, quando inveì contro il traffico provocato dalle «commemorazioni di ’sta minchia») nel quale scriveva: «Purtroppo è andato tutto a scatafascio. La ferrovia non è praticabile, è piena, quindi capirai che non si può».

Nei giorni precedenti i carabinieri avevano osservato gli strani comportamenti di Rosalia, «visibilmente turbata» mentre si muoveva «in maniera nervosa» intorno alla casa di campagna (dietro la quale corre una vecchia linea ferroviaria), come fosse in vana attesa di qualcosa o qualcuno. Atteggiamenti sospetti da mettere in correlazione con altre indicazioni ricevute da Matteo. Come quelle sui segnali da esporre se avesse notato qualcosa di sospetto; uno o più stracci appesi, con tanto di disegno illustrativo e una raccomandazione: «Naturalmente se accade ciò si perdono i contatti, quindi devi essere sicuro che ci sia qualcosa che non va, non vorrei perdere i contatti per un falso allarme».

Per recuperare un appuntamento saltato il boss dettava una regola: «Ti fermi per i giorni a seguire per mezz’ora all’orario che sai, fino a quando non si farà il tutto». Alla maniera dei terroristi negli anni Settanta. Altre storie, stessi metodi.