La Stampa, 4 marzo 2023
L’Ue ordina a Roma: Fate pagare l’Ici alla Chiesa
Niente più scuse, la Commissione Ue dice che l’Italia deve procedere al recupero dell’Ici (l’Imposta comunale sugli immobili che esisteva prima dell’Imu) non pagata dalla Chiesa per le sue attività commerciali ed economiche fra il 2006 e il 2011. Il sistema catastale non aggiornato e l’assenza di adeguate banche dati non giustificano, secondo Bruxelles, la mancata riscossione dell’imposta sugli immobili per le strutture ecclesiastiche. Si tratta di un aiuto di Stato contrario alle regole Ue, che produce vantaggi indebiti e distorce la concorrenza.
La Commissione boccia pertanto il regime speciale riconosciuto tra il 2006 e il 2011 dalle autorità nazionali, e chiede al governo Meloni di recuperare «almeno parzialmente» le tasse non versate.
Il contenzioso si trascina da oltre dieci anni. A dicembre 2012 l’esecutivo comunitario riconobbe l’illegittimità del trattamento di favore concesso dall’Italia ma si limitò alla censura. Non ordinò il recupero degli aiuti di Stato illegali perché si ritenne che il Paese non fosse in grado di farlo. Un giudizio bocciato a novembre 2018 dalla Corte di giustizia dell’Ue. È vero che in circostanze eccezionali si può evitare ai governi di chiedere il recupero degli aiuti, di fronte alla dimostrazione dell’impossibilità di poterlo ottenere. Una cosa non dimostrata nel caso dell’Italia.
Adesso la Commissione riconosce il richiamo dei giudici di Lussemburgo. Conferma «l’esistenza di difficoltà per le autorità italiane nell’identificare i beneficiari dell’aiuto illegale», ma giunge alla conclusione che «tali difficoltà non sono sufficienti per escludere la possibilità di ottenere almeno un recupero parziale dell’aiuto». Le alternative ci sono, tanto che lo stesso esecutivo comunitario le suggerisce allo Stato membro: utilizzare i dati delle dichiarazioni presentate ai sensi della nuova imposta sugli immobili e integrarli con altri metodi, comprese le auto-dichiarazioni.
Sugli immobili legati alla Chiesa è stata applicata, tra il 2006 e il 2011, «un’esenzione totale, anche per immobili utilizzati per parziale attività commerciale», ricorda Arianna Podestà, la portavoce per le questioni di concorrenza. «Quando queste attività hanno una natura economica, il fatto che siano condotte da entità non commerciali non preclude l’applicazione delle regole sugli aiuti di Stato». L’Italia dovrà adesso procedere ad una verifica «caso per caso» per mettersi in regola con l’Ue.
Non si annuncia un esercizio semplice. Va individuato ogni singolo beneficiario che ha goduto di sostegni pari ad almeno 200 mila euro per un periodo di oltre tre anni. Ci sono due mesi di tempo, da regolamento Ue, per notificare a Bruxelles l’elenco dei beneficiari, l’emissione degli ordini di recupero e gli importi. L’Anci, l’associazione dei comuni italiani, ha già calcolato che ci sarebbero tra i quattro e i cinque miliardi di euro da recuperare in totale. Per riscuotere il governo Meloni ha in tutto quattro mesi a partire dalla notifica di Bruxelles, anche se nel caso specifico alla fine potrebbe mancare qualcosa all’appello, visto che la stessa Commissione pretende un recupero parziale. La Chiesa potrebbe cavarsela con uno sconto.
Ciò non toglie che adesso l’Agenzia delle Entrate dovrà andare a bussare alle porte degli immobili legati alla Santa Sede. Entro il 3 luglio si dovranno vagliare le oltre 26 mila proprietà fra oratori, conventi eccetera e gli oltre 5 mila edifici tra case di abitazione, cliniche, ospedali e altre strutture di vario genere. Questi sono i numeri del patrimonio immobiliare legato al Vaticano, per cui andrà operata la valutazione tra attività economica e non-economica. La seconda non sarà interessata dalla decisione di recupero degli aiuti di Stato illegali, la prima invece sì. Il rischio, in caso contrario, è di nuova condanna in sede europea e il pagamento di multe che potrebbero essere salate. Per l’Ue non è più tempo di indulgenza.