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 2023  marzo 05 Domenica calendario

Parla Antonio Cassano

Antonio Cassano, sono passati 19 anni da Roma-Juventus 4-0 del 2004: la più bella partita della sua vita?
«Una delle più belle partite della vita mia. Il problema è che quelle cose le facevo una volta ogni sei anni. Mi affascinava confrontarmi con le grandi. Mi dicevo: ora vi faccio vedere chi è il più forte.
Dacourt, nello spogliatoio, diceva: grandi partite, grandi giocatori.
Invece mi rompevo le palle a giocare con squadre meno forti. Io giocavo Roma-Juve come in strada. Volevo lasciare la gente a bocca aperta: quella è la goduria».
Com’era giocare in strada?
«A 11 anni giocavo in piazza con quelli di 16, 17, che già facevano qualche lavoretto e avevano qualche soldino. Io non avevo una lira, ma ero il più forte di tutti. Mi dicevano: “Antonio gioca con me”.
Io dicevo: quanto mi date se vi faccio vincere? Andavo da chi mi dava di più, vincevo mille, duemila lire e con quei soldi mi andavo a prendere un panino, una Coca cola. Ma mi divertivo soprattutto quando facevo vincere la squadra più debole, o facevo far gol a quello meno bravo. Il calcio è questo: bisogna far divertire la gente».
Quando rivede le sue partite le viene mai qualche rimpianto?
«I miei figli mi sfottono: non eri tanto forte, papà. Io rispondo: per me la cosa importante è essere un bravo papà. Poi mi metto a vederli davvero i gol. E mi dico: cavolo, Madre Natura mi ha dato tutto. Ma se avessi avuto equilibrio, dopo il Real sarei andato a un’altra grande squadra. Avevo una richiesta del Liverpool e una della Juve che era appena tornata in Serie A. Avevo l’accordo col Genoa, poi il grande Garrone mi ha affascinato con l’idea della Samp. E magari a Liverpool o Torino non avrei incontrato Carolina, mia moglie».
Quante volte ha rifiutato la Juventus?
«Quattro. La prima il 2001: avevo appuntamento con Moggi ad Avellino, ma volevo giocare con Totti, mi affascinava Roma, la città.
Non mi ha mai affascinato la Juve, nemmeno per un secondo: non c’entrava nulla con la mia idea di calcio. Lì sarei durato tre giorni: il primo giorno mi acquistavano, il secondo presentazione, il terzo mi cacciavano via. Buffon mi diceva: sei un cretino, da noi potevi vincere il Pallone d’oro. Io gli rispondevo: Gigi, io non timbro il cartellino, io all’allenamento devo divertirmi».
Lei è spesso critico con la Juve.
«La Juve ha fatto un’ottima partita nel derby. Ma scordatevi che faccia possesso palla o domini la partita.
La Juve con Allegri è un anno e mezzo che fa schifo, è rimasto a dieci anni fa. E ha la rosa più forte del campionato. Vale anche per l’Inter, e lo dico da interista: sono le squadre più forti. Inzaghi è giovane ma ho l’impressione che l’Inter sia più grande di lui. È a 18 punti dal Napoli, che ha la forza delle idee».
Con Allegri vi siete lasciati male dopo gli anni al Milan?
«A livello personale, mai avuto problemi. Dopo che ho espresso le mie opinioni alla Bobo tv non mi chiama più. Ma io parlo di calcio, non offendo mai l’uomo».
Eppure il vostro Milan giocava un ottimo calcio.
«C’erano Abbiati in porta, Zambrotta e Jankulovski esterni, Tiago Silva e Nesta centrali, in mezzo Pirlo o Van Bommel, Gattuso o Ambrosini e Seedorf, davanti Cassano, Robinho e Ibrahimovic. Capisce? Non facevamo tattica: martedì si correva un po’, mercoledì palestra,giovedì partitella, venerdì facoltativo, sabato battevamo due rigori, due calci d’angolo e stop. La squadra andava da sola. Idem la Juve: Allegri mette sempre in campo i giocatori nel modo giusto.
Ma per me devi dare qualcosa di più. Avete visto come gioca l’Arsenal allenato da Arteta? O il Reims di William Still, o la Real Sociedad di Imanol Alguacil…».
Nessuno di loro è in Serie A.
«Qui ci sono tanti allenatori poco umili, non vedo dei Klopp, Guardiola, Luis Enrique o un futurista come Nagelsmann.
L’unico che mi sorprende è Lucianone Spalletti: siamo al calcio 2.0? Lui è al 3.0: abbina il gioco diretto di Klopp e il possesso diGuardiola. Sa fare l’uno e l’altro, ci sta facendo vedere in Italia e nel mondo quello che sa fare. È geniale, ma non fa il ruffiano con i giornalisti».
Eppure a Roma voi due aveste un rapporto tormentato.
«Per colpa mia. Dopo l’allenamento alla Roma i più giovani portavano via le porte. Lui arrivò e ci disse: da oggi, le porte le toglie tutta la squadra. Metteva regole. Il volume della musica? Io lo tenevo alto, lui veniva e lo abbassava. Non guardava in faccia nessuno, Cassano, Totti o Montella: dopo tre giorni in cui mi sono comportato male mi ha tolto la fascia di vice capitano e mi ha messo fuori rosa, giustamente. Dopo che mi sono comportato bene, ma dovevo andare al Real, mi ha detto: tu potresti giocare con me. In 5 partite tra campionato e coppa feci 3 gol e 2 assist. Ancora oggi ci sentiamo: con lui puoi parlare di calcio, di vini, di cibo. A Roma lo hanno disintegrato, lui come Luis Enrique. Forse si saranno pentiti…».
È amico di Spalletti e Totti: può
farli riappacificare lei?
«Ma che gli dico, “Avete fatto casino, stringetevi la mano”? Però sarei contento se facessero due chiacchiere. Luciano guardava al bene della squadra. Se a Totti chiedi “giocheresti?”, lui ti dice di sì anche oggi. Qualcuno se ne è approfittato per metterli contro».
Quando vedremo un altro grande numero dieci italiano?
«Nel 2003 in Nazionale c’erano Vieri e Inzaghi, Totti, Del Piero, Cassano. Restavano fuori Chiesa, Montella, Di Natale, Miccoli… Oggi Di Natale farebbe 50 gol in azzurro e avrebbe la dieci fissa. Non c’è più programmazione. Né infrastrutture: si cresce su campi a dir poco fatiscenti, divisi tra cinque squadre, sporchi, puzzolenti. Nesta alla Bobo tv mi diceva che ci sono allenatori nelle Under 12 o 13 a cui non frega nulla di fra crescere i bambini, vogliono solo andare ad allenare in Serie C o D. Ormai sono dieci anni che come movimento facciamo schifo, Mancini ha fatto un miracolo vincendo gli Europei con una squadra mediocre e giocando un grande calcio. Ma nonsi dribbla più, non c’è più la cultura di divertirsi col calcio».
Ora lei si diverte con la Bobo tv.
«Conosco Vieri da più di 20 anni, lui dice che mi ha fatto l’assist per il primo gol in Nazionale, ma era una mezza spizzata, non ha fatto un cavolo. Però mi ha fatto conoscere Lele Adani e Nicola Ventola. Bobo ha avuto un’idea geniale, mettendo insieme persone diverse: Ventola è di una simpatia unica, è divertente e competente. Poi ha messo il pazzo scatenato, che sono io, che affronto la vita di petto e penso e spero di far capire il calcio, a modo mio. E poi Lele, il Messi degli opinionisti. Noi non abbiamo censure, nessuno ci dice cosa dire: la gente ci segue per questo, e per la competenza».
C’è una “cassanata” che non è mai stata raccontata?
«Franco Sensi mi chiamava una volta a settimana nella sua stanza, lui in giacca e cravatta, io andavo da lui in mutande e lo abbracciavo pure. Poi, le corse in Ferrari con Totti. Facevamo via di Trigoria a manetta, a chi arrivava primo al centro sportivo: chi si metteva davanti non faceva passare l’altro.
Sa le volte che abbiamo rischiato di fare la frittata? All’Eur facevamo il circuito, dal Palaeur all’obelisco e ritorno, tre quattro giri alle 5 di mattina. Ieri ho fatto da Genova a Brescia, ci ho messo 4 ore. I figli cambiano tutto».
I suoi figli giocano a calcio?
«Uno ha 11 anni e gioca all’Entella, me lo chiedono a destra e sinistra, ma se mi domandano “com’è”, rispondo: si diverte. E basta. Il piccolo ne ha 9 e gioca a padel, schiaccia contro quelli di 12 o 13 anni. Sono sportivi, come me e la mamma. Carolina è tornata in piscina: ha raggiunto la Nazionale dopo aver smesso per 8 anni e aver fatto due figli, ha un talento impressionante. Ne parlavamo con Antonino Cannavacciuolo, siamo stati a pranzo da lui a Novara, oggi».
Avete parlato anche di calcio con Cannavacciuolo?
«Siamo stati un’ora e mezza a parlare, lui di Maradona e io di Messi. Gli ho spiegato i criteri per cui è meglio Messi: Maradona batteva le punizioni? Messi ha battuto il record di gol su punizione. I gol, gli assist, primo in tutto. Alla fine mi guardava. Ho detto: lo so, mi dirai che Maradona è un dio per voi. Ma penso che avrai capito. Ha sorriso, ci siamo abbracciati e sono andato via».