la Repubblica, 5 marzo 2023
La flotta ombra di petroliere russe
La scena potrebbe appartenere all’ incipit di un thriller internazionale alla Frederick Forsyth. O alla Tom Clancy. Due petroliere – entrambe con le stive riempite solo per metà – si danno appuntamento nella vastità dell’Oceano Indiano, ben lontano dalle rotte commerciali. Arrivate al punto di incontro, avviene lo scambio: la prima effettua il trasbordo della sua riserva di greggio e si allontana più leggera, mentre la seconda a pieno carico si dirige verso la raffineria che ha affettuato l’ordine. Secondo fonti citate dal Wall Street Journal, le grandi oil company ritengono debba avere almeno il 49 per cento di greggio proveniente dalle aziende di Mosca. Per evitare i controlli è sufficiente dichiarare solamente la provenienza della quota maggioritaria.
Limitare le entrate di Putin
Lo scambio in mezzo al mare è solo uno dei metodi con cui la Russia di Vladimir Putin è riuscita ad aggirare l’embargo deciso dai paesi occidentali che sostengono l’Ucraina nei confronti del petrolio di Mosca, nonché sui prodotti raffinati (per i Paesi Ue in vigore rispettivamente dal 5 dicembre e dal 5 febbraio). A cui si deve aggiungere il tetto al prezzo del barile, non oltre i 60 dollari: limite non vincolante, ma strumento di pressione politica per tutti quei paesi, in particolare delle economie emergenti, che non stanno né con Kiev né con Mosca. L’obiettivo? Limitare le entrate del Cremlino che per oltre la metà dipendono dalla vendita di materie prime, con petrolio, gas ma anche carbone. Ridurre la disponibilità finanziaria di Putin significa mettere in difficoltà l’apparato bellico.
La flotta fantasma
Dalla primavera scorsa, la Russia è stata costretta a riorganizzare la sua flotta di petroliere. Una metà del greggio che spedisce per il mondo viaggia con la compagnia statale Sovcomflot ed è destinato ai Paesi che non hanno decretato l’embargo, Cina e India su tutti.
Ma questo non significa che l’Urals (il petrolio da esportazione russa, miscela di olio pesante degli Urali e del Volga con olio leggero della Siberia occidentale) non arrivi, per esempio, nei principali porti europei, da Rotterdam ad Anversa.
Per riuscirci, Mosca ha organizzato una flotta “ombra”. La società di consulenza energetica Rystad ha pubblicato un report secondo cui la Russia ha aggiunto 103 navi cisterna nel 2022 grazie ad acquisti e alla riallocazione di navi che servivano l’Iran e il Venezuela, duePaesi – non a caso – sotto embargo petrolifero occidentale. Navi già registrate con bandiere di comodo con società che hanno sede a Dubai e Hong Kong. E di cui in molti casi sono stati contraffatti i documenti.
Del resto, i russi nemmeno lo nascondono. Nell’ottobre scorso, hanno fatto il giro del mondo le agenzie di stampa con le dichiarazioni di Andrei Kostin, capo della banca statale VTB, quando a un convegno internazionale ha spiegato che il paese avrebbe dovuto spendere «almeno 16,2 miliardi di dollari» per «l’espansione della flotta dinavi cisterna».
Passaggio in Kazakistan
Gli osservatori internazionali tengono poi sotto osservazione alcune operazioni che potrebbero essere sospette. Una di queste è l’annuncio da parte del governo del Kazakistan arrivato a fine gennaio: fornirà 1,5 milioni di tonnellate di petrolio alla Germania, con un possibile aumento in futuro a 7 milioni di tonnellate. Nulla di male, se non fosse che il governo kazako utilizzerà infrastrutture che passano in territorio russo, controllate dalle società di Mosca. E sempre ricordando che il Kazakistan è alleato di Putin e fa parte della Comunità degli stati indipendenti insieme a Russia, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kirghizistan, Moldova, Tagikistan e Uzbekistan.
Mentre in Italia in extremis è stato superato lo scoglio della raffineria di Priolo, in Sicilia di proprietà del gruppo russo Lukoil. È stata ceduta alla società Goi Energy, un ramo di Argus New Energy Group, un fondo diprivate equity sostenuto principalmente da investitori israeliani. Il petrolio non sarà più fornito dai russi, come avveniva fino a poche stetimana fa, ma dalla multinazionale delle materie prime Trafigura, che acquista petrolio in giro per il mondo.
Modi, l’alleato indiano
Ma non è necessario avventurarsi lungo confini al limite delle legalità internazionale per aggirare l’embargo. Basta disporre di partner commerciali affidabili, nonché affamati di energia. C’è la Cina, che l’anno scorso ha aumentato del 19% la quantità di greggio importato da Mosca. E poi c’è l’India guidata da Narendra Modri. Per di più,con l’ambizione di rivestire nei prossimi anni un ruolo da protagonista, quale motore principale della crescita mondiale, sopravanzando persino i rivali di Pechino.
L’embargo al petrolio e ai prodotti raffinati russi è diventato così per l’India una occasione irripetibile. Lo scambio è “vincente” per entrambi: si procura forniture di lungo periodo a prezzi scontati, mentre la Russia incassa qualcosa di meno ma si garantisce entrate sicure e difende la sua quota di mercato. Ma cosa c’entra in questo caso l’embargo? Siccome l’India è uno dei maggiori esportatori di prodotti raffinati, ecco che nei porti occidentali – senza che nessuno possa controllare – arrivano grandi partite di diesel che hanno come origine il petrolio Urals. La prova si trova nei numeri: secondo i dati della società specializzata Kepler, l’import di greggio da parte dell’India è salito negli ultimi 8 mesi del 2022 da 2,5 a 21,8 miliardi di dollari. Come hanno fatto notare gli analisti dell’Ispi (l’Istituto per gli studi di politica internazionale legato al nostro ministero degli Esteri), «assente dalle posizioni che contano, in appena 12 mesi Mosca è diventato il più grande fornitore di petrolio del’India superando Iraq e Arabia Saudita», mentre «l’India è ora il secondo acquirente di oro nero, alle spalle della sola Cina». Quanto finirà nella raffinerie occidentali?