la Repubblica, 4 marzo 2023
Le briglie dei governi alla Guardia costiera
Quasi 55 mila migranti soccorsi nel 2022, 9 mila solo in questi due primi mesi dell’anno, gli ultimi 211 la notte scorsa a Lampedusa con una di quelle inaffondabili motovedette classe 300 che, se mai qualcuno le avesse fatte uscire, avrebbero potuto salvare le vite perdute sulla spiaggia di Cutro. Basterebbero questi numeri per ribadire l’abnegazione degli uomini della Guardia costiera che non hanno nulla da cui difendersi se non dalle briglie con cui negli ultimi cinque anni la politica ha reso la loro attività più che una corsa contro il tempo un percorso a ostacoli tra burocrazia, direttive, frantumazione di competenze.
Che cosa è successo dunque se il Corpo più amato dagli italiani, candidato nel 2017 al Nobel della Pace, è finito sotto accusa per quella che appare un’incredibile sottovalutazione delle condizioni di sicurezza in cui viaggiava quel barcone pieno di famiglie che arrivava dalla Turchia? La risposta va cercata nei dieci anni che separano i due più grossi naufragi della storia italiana, da Lampedusa a Cutro. Dieci anni in cui il milione di vite umane salvate con orgoglio dalla Guardia Costiera è stato cancellato dal governo Conte 1. Con Matteo Salvini al Viminale ad avocare a sé competenze, come l’assegnazione dei porti di sbarco alle navi che soccorrono migranti, da sempre gestite dalle autorità marittime, e a pretendere di essere informato preventivamente per ogni operazione di soccorso. E con Danilo Toninelli, al ministero dei Trasporti, a cambiare le regole di ingaggio e le competenze dei corpi nelle operazioni in acque internazionali.
Trent’anni di flussi migratori
Bisogna tornare indietro ad una foto simbolo, quella dell’8 agosto 1991quando una vecchia nave carica di 20 mila persone in fuga dall’Albania approdò nel porto di Bari aprendo la stagione dei soccorsi ai nuovi flussi migratori in arrivo dal mare e ripercorrere i dieci anni intercorsi tra i due naufragi di Lampedusa dell’ottobre 2013 con 636 vittime accertate e quello di Cutro con 68 corpi recuperati e un numero ancora indefinito di dispersi. Ma se nel 2013 la risposta del governo guidato da Enrico Letta fu l’immediata istituzione della missione militare Mare Nostrum con 100 mila migranti salvati in un anno con i pattugliatori italiani impegnati in un enorme raggio di azione (un milione e mezzo di chilometri quadrati), dieci anni dopo il governo Meloni reagisce alla tragedia colpevolizzando le vittime mentre le spiegazioni tecniche rivelano una prassi non scritta: e cioè che, in acque internazionali, la linea delle operazioni di polizia prevale su quella del soccorso, in mancanza di emergenze o richieste di soccorso.
Nessuno spoils system
Prassi impensabili negli anni in cui era comandante generale l’ammiraglio Felicio Angrisano, che poi in pensione, nel 2018, indossò la maglietta rossa aderendo alla protesta contro i porti chiusi. Nessuno spoil system ai vertici del Corpo, va detto: i due comandanti che si sono succeduti negli ultimi cinque anni ( Giovanni Pettorino e Nicola Carlone) sono stati nominati il primo dal governo Gentiloni, il secondo da Draghi. Pettorino ha resistito a momenti di aspro scontro con il governo Conte senza togliersi la soddisfazione di offrire il petto allo scontro pena una più volte ventilata rimozione.
Il comandante Todaro
Come nell’estate calda del 2018quando proprio a Salvini e Toninelli Pettorino raccontò la storia del comandante Todaro. Era la notte del 16 ottobre 1940, al largo dell’isola di Madera, quando il comandante della Regia Marina Salvatore Bruno Todaro, con il suo sommergibile Cappellini affondò la nave Belga Kabalo. E poi portò in salvo i nemici, 26 naufraghi, lasciandoli sulle coste delle Azzorre. «Sono un uomo di mare e ho duemila anni di civiltà sulle spalle », si giustificò al ritorno dalla missione con il capo dei sommergibilisti tedeschi che lo insultò dandogli del “Don Chisciotte del mare”.
Un pezzo di storia della nostra Marina portato ad esempio proprio neigiorni in cui l’allora comandante generale della Guardia Costiera decise di intervenire pubblicamente per rispondere alle reprimende di Matteo Salvini che, da poche settimane al Viminale, aveva deciso di entrare subito a gamba tesa sulle operazioni di soccorso dei migranti da parte di motovedette e pattugliatori italiani. «Abbiamo risposto sempre, sempre rispondiamo e sempre risponderemo a ciascuna chiamata di soccorso. Lo facciamo perché è un obbligo giuridico ma anche un obbligo che sentiamo moralmente: tutti gli uomini di mare, da sempre e anche in assenza di convenzioni, hanno portato soccorso e aiuto a chi si trova in difficoltà in mare. Noi non abbiamomai lasciato solo nessuno in mare», le parole dette all’Ansa da Pettorino nel giugno 2018 in quella che è rimasta l’ultima uscita pubblica di un comandante generale della Guardia costiera da quando il Corpo è stato di fatto obbligato al silenzio e all’inabissamento da tutti i governi che si sono fin qui succeduti.La cortina di silenzio
Tanto che neanche in questi giorni in cui il Corpo è finito sul banco degli imputati per il mancato soccorso al barcone naufragato, l’attuale comandante generale, l’ammiraglio Nicola Carlone, è sceso in campo per spiegare cosa è accaduto o per difendere i suoi. In linea con i segni inequivocabili del cambiamento in atto da tempo: le foto dei soccorsi di migranti scomparsi dal calendario del Corpo dal 2019, i dati dei salvataggi cancellati dai report annuali,una cortina di silenzio informativo calata sulle operazioni nel Mediterraneo e nello Ionio, i social ufficiali attivissimi nel pubblicizzare il contrasto alle pesca abusiva o per l’ambiente. Sabato 25 febbraio mentre il caicco carico di migranti navigava verso il suo tragico destino l’account twitter della Guardia costiera postava la notizia del sequestro di 67 tonni rossi sottomisura da parte della Gregoretti. che fino a qualche anno fa salvava vite umane.