Corriere della Sera, 3 marzo 2023
Michieletto mette in scena la fattoria di Orwell
I maiali sono in gabbia, al mattatoio, dove aspettano la loro sorte. Da tempo Damiano Michieletto cercava soggetti utili per trasformarli in libretti d’opera. La fattoria degli animali, con la musica di Alexander Raskatov, «li contiene tutti, perché è un romanzo sintetico, semplice, diretto e dunque teatrale. Contiene un’allegoria che si presta a tante letture». È la parabola delle illusioni di un nuovo ordine sociale, quando gli animali diventano uomini, prendono il loro posto e assumono il comando, promesse del potere per ammaliare, manipolare.
Stasera debutta all’Opera di Amsterdam, sul podio Alexander Soddy. Poi Vienna, Palermo, Helsinky. «È un’operazione popolare e internazionale, è la prima volta che ho quattro teatri prima di andare in scena. Spero che quest’opera entri in repertorio e possa durare in altre produzioni. È un piccolo classico, la storia c’è, si offre a molte interpretazioni sceniche. Io stesso ho avuto in mente dieci versioni diverse, si può fare con animali veri, con i politici di oggi… Ma compiere già il salto al debutto, rinunciando agli animali, mi sembrava fuori luogo».
C’è la metafora della prigione e il desiderio di libertà di uscire dalla gabbia: «La fattoria diventa il macello da cui gli animali escono distruggendo la prigione. E scrivono le nuove regole, che verranno infrante: per tornaconto personale, per meschinità, per ambizione…». È la nuova dittatura degli animali che diventano uomini. «Con le bestie che si ribellano al padrone, da Esopo in poi, si raccontano temi morali e sociali ma in modo semplice perché sono bestie. Io mantengo l’allegoria di Orwell, i maiali ripeteranno i meccanismi del potere. E le vittime diventano carnefici. Come in Orwell, non si riconoscono le differenze tra i maiali e gli uomini che volevano combattere».
Gabbia
I maiali in gabbia aspettano la loro sorte, il coro di bambini incarna anatre e galline
La scena è dunque il mattatoio in cui gli animali sono rinchiusi. «Distrutte le gabbie, l’azione si trasforma in una cena, in un luogo chic dove gli animali diventano esseri umani, a tavola portano un maiale. E mangiano sé stessi, ripetendo gli stessi meccanismi del dominio. Raskatov lo racconta con una musica che dentro ha dell’ironia, è graffiante, a volte ricorda Sostakovic (l’opera è dedicata alla sua terza moglie, Irina), lui vuole giocare col pubblico e cerca un linguaggio popolare dove mette tanti ingredienti, spinge il pedale, ci sono momenti quasi di fanfara, tante percussioni, la chitarra elettrica…». Il nuovo ordine dei maiali ha bisogno di creare simboli ed ecco l’inno da cantare insieme. Un afflato di libertà che idealmente richiama il Fidelio. «Spero che la musica piaccia, perché all’opera è lei che vince.Le maschere degli animali erano la vera sfida, in scena annullano i volti umani, sono leggere, di metallo e ricoperte da una retina che permette al cantante di respirare. Non c’è nulla di carnevalesco, se ci fosse non farebbe prendere sul serio l’azione, le maschere anzi hanno qualcosa di arrugginito che rimanda a una situazione drammatica».
Ci sono venti personaggi, il cinghiale e il cavallo sono solisti, poi maiali, capre, pecore e mucche cantati dal coro, che è protagonista al 90 percento, mentre il coro di bambini incarna anatre e galline. Come si distinguono musicalmente gli animali? «Ci sono colori orchestrali che creano somiglianze, l’asino Benjamin ha il raglio, il maiale lancia il sogno di rivoluzione che sembra un grugnito. Ma non c’è un’imitazione onomatopeica». È un’allegoria scritta con riferimenti all’Urss di Stalin (Orwell era proibito); è una metafora sulla propaganda, sul potere, sulla democrazia, sui meccanismi che controllano il potere e sul concetto di rivoluzione.