La Stampa, 3 marzo 2023
Intervista a Sintayehu Vissa
S eduta sopra il sacco dell’asta Sintayehu Vissa guarda la pista su cui oggi correrà la batteria dei 1500 metri agli Euroindoor di Istanbul. Ovunque ci sia gente che arriva da più parti del mondo lei si sente nel posto giusto: «La vita è mischiarsi». Nata in Etiopia, adottata in Italia, emigrata negli Usa per correre, fidanzata con un atleta australiano, ha capito la differenza tra integrazione e soddisfazione accumulando km.
Ci racconta la sua storia?
«Mi hanno adottata a 9 anni, abbastanza grande per ricordare l’Etiopia ma non per sapere che cosa fossero la povertà, la paura o l’Africa. Era un posto come un altro dove tutti eravamo abbronzati e tutti stavamo in attesa. Mia madre, la prima, è mancata quando avevo 4 anni, il mio padre biologico non l’ho mai conosciuto, sono stata per un po’ con una signora che chiamavo nonna. Immagino non sia riuscita a tenermi».
Poi è arrivata una coppia di Pozzecco di Bertiolo, provincia di Udine.
«Sono stata fortunata a trovare la mia famiglia. Loro hanno chiesto informazioni ai Crippa che nello stesso posto avevano adottato sei ragazzini, compreso Yeman, altro nazionale di atletica che sta per debuttare in maratona».
Come è stato l’arrivo in Italia?
Lunghissimo respiro. «Tanto… io parlavo l’amarico, nella nuova lingua sapevo dire solo giro giro tondo. Ho imparato l’italiano e dimenticato la lingua di origine, è rimasto il nome che vuol dire "Ho visto molte cose". Anche se adesso c’è il nickname, Sinta, per facilità. Mi piace anche se non vuol dire nulla. L’identità è complicata e alla fine sta nell’equilibrio di ognuno. Io ho un sorriso africano e gesti friulani. Oggi mi chiamano "l’americana": prima mi scocciava, ora mi piace essere un mix delle mie esperienze».
Perché si è trasferita negli Usa?
«Per il mezzofondo, per correre, sapevo che per esprimermi tecnicamente dovevo andare là. Casa è l’Italia, ma avevo un progetto e l’ho seguito. Prima Irlanda, a Cork, per un test personale. Aspettavo il visto per gli Usa e volevo imparare la lingua. Avevo tutto molto chiaro in mente: Florida in partenza, trasloco in Mississipi e approdo in Colorado, a Boulder, dove sono diventata professionista con il tecnico Dathan Ritzenhein. L’Italia è cultura, cibo, eleganza, ma gli Usa hanno un sistema scolastico per chi sceglie lo sport che noi ci scordiamo».
Poche settimane fa si è prese il record del miglio che ancora era di Gabriella Dorio. Che cosa sa di lei?
«Tutto ed è stata un’emozione inaspettata tenere in mano la bandiera. Non era per niente un gesto scontato. Quel primato mi ha messo un po’ dentro il sistema Italia, non avevo mai fatto neanche un raduno. Scelta mia e consapevole, ho voluto gli Usa, sapevo che c’era il rischio batosta, ma nella vita ne ho prese diverse, so reggerle».
Batosta più violenta?
«Vorrei dire la perdita di mia madre, solo che non la ricordo. Lo schiaffo più duro è stato scoprire che quando credevo di essere a posto, in Italia, dovevo ancora iniziare. Con tutto il bene che i miei genitori mi hanno voluto, ci ho messo un’eternità a sentirmi serena. A non vedere il colore, lo vedevo più io degli altri. Ho accumulato nervoso e la corsa lo ha sciolto».
Negli Usa nessun episodio di razzismo?
«Ero là quando sono iniziate le marce per il Black Lives Matter, necessarie, io però non ho avuto problemi, lì conta quello che fai e l’atleta è rispettato».
Con la sua storia, come ha guardato le notizie sui mortinel naufragio a Crotone?
«Ho letto tante storie di immigrati, le motivazioni e i rischi che migliaia di persone si sono presi per scappare, per sopravvivere, per una vita decente. Sentire persone, anche in ruoli importanti, che chiedono "perché non state a casa? " è spiazzante. Che cosa si risponde?
Lei che cosa risponde?
«Sono stata una bambina che neanche si guardava troppo in giro in orfanotrofio: sapevo di andare via. A 9 anni non sai e non ti chiedi, ma quella sensazione ce l’ho chiara. Bisogna proprio essere chiusi, miopi e insensibili per chiedere di restare lì dove sogni solo di partire. Però l’Italia è fatta pure di persone come i miei genitori e io sono grata quindi nemmeno mi sogno di classificare il mio Paese in base a certi giudizi. Tranquilla mamma, non lo farò. Ho l’azzurro addosso e lo porto fiera, fatemi correre da global in mezzo al mondo».